Fin dalla sua fondazione, la Central Intelligence Agency degli Stati Uniti (CIA) ha inculcato ai suoi agenti, sia novizi che veterani, questo principio fondamentale: qualsiasi informazione, per quanto possa sembrare insignificante, può rivelarsi di valore.
Questa regola, condivisa da tutte le agenzie di intelligence del mondo, è anche il mantra di criminali e concorrenti sleali.
Per chi è specializzato in spionaggio aziendale e industriale – che si tratti di concorrenti, criminali o stati ostili – non esiste un’informazione priva di valore.
Anche quando l’obiettivo è ottenere elementi specifici, questi soggetti agiscono sempre seguendo questa logica.
Imprese a scuola di intelligence
La lezione più importante? Prima di costruire processi di valutazione e protezione dal rischio bisogna riconoscerli: sono i dati che determinano la vulnerabilità di un’impresa, ma anche il suo successo

Artser Lab è il think tank di Artser e produce idee e contenuti, analisi ed approfondimenti per chi guida le imprese.
A cura di Antonio Belloni, Head of research department Artser Lab.

Autore: Mark William Lowe
Direttore di Monact Risk Assessment Services, esperto in gestione del rischio e della sicurezza
Proprio seguendo questa idea, infatti, i dati della tua azienda non sono semplici dati, ma:
- raccontano le tue strategie;
- i tuoi modelli di prezzo;
- i tuoi prodotti futuri;
- l’elenco dei clienti;
- le tattiche di negoziazione;
- e talvolta anche informazioni mediche personali, abitudini di viaggio e vulnerabilità individuali.
In sintesi, i tuoi dati sono ciò che guida la sopravvivenza e lo sviluppo della tua azienda, ma – nello scenario peggiore – possono diventare la causa della sua rovina, se usati contro di te.
In ogni distretto industriale d’Italia, per esempio, ci sono aziende che eccellono, senza essere sotto i riflettori, come:
- le officine di precisione in Emilia-Romagna;
- i produttori di tessuti di lusso in Toscana;
- gli specialisti dell’elettronica in Lombardia;
- i cantieri navali in Liguria.
Molte sono leader mondiali nei rispettivi settori, ma spesso non sono consapevoli del paradosso che accompagna il loro successo: più è sofisticato il know-how, tanto più sono preziosi i dati e l’azienda è esposta al rischio che vengano rubati.
I bersagli non sono necessariamente le grandi aziende.
Al contrario, la piccola dimensione, la cultura informale e la gestione frammentata tipica delle PMI le rende più facili da infiltrare e più difficili da proteggere.
Per molte piccole e medie imprese, “protezione dei dati” significa ancora semplicemente installare un firewall o aggiornare l’antivirus.
Eppure, la vera minaccia sta altrove: il problema non è solo come vengono rubati i dati, ma cosa viene rubato.
E per molte PMI è una questione aperta: non sanno davvero quali dati possiedono, dove si trovano e, soprattutto, quanto danno potrebbe causare la loro sottrazione.
Lo spionaggio industriale e aziendale è infatti uno dei rischi più sottovalutati del sistema produttivo italiano. Non è un rischio da spy movie, ma una realtà quotidiana che va:
- dal reclutamento di dipendenti scontenti da parte di concorrenti, per ottenere informazioni;
- ai gruppi criminali che vendono progetti rubati;
- agli stati ostili che mappano le tecnologie che danno all’Italia il suo vantaggio competitivo.
Dietro questa sottovalutazione generale, ci sono infatti tre grandi equivoci sulla protezione dei dati.
1. ERRORE CONTESTUALE: non succede solo nei film
Non si tratta sempre di situazioni da “spie e pugnali”.
Anzi, spesso assume forme apparentemente banali.
Ecco alcuni esempi tratti da realtà aziendali comuni:
- un subappaltatore che copia i disegni tecnici di un cliente;
- un ex dipendente che offre informazioni riservate a un concorrente;
- un visitatore che fotografa un prototipo durante un tour in azienda.
Gli episodi come questi sono raramente denunciati, ma i loro effetti cumulativi possono essere devastanti.
Perdere il controllo su una formula, su un elenco di fornitori o su un processo innovativo può distruggere anni di investimenti, erodere la fiducia e compromettere in modo permanente la posizione dell’azienda nelle catene di fornitura globali.
2. ERRORE CONCETTUALE: cos’è un dato
Nella maggior parte delle PMI, le informazioni sensibili sono disperse tra:
- e-mail;
- server aziendali;
- computer personali;
- e soprattutto… nella testa delle persone.
Molto know-how prezioso (come tolleranze di produzione, metodi di collaudo, preferenze progettuali) non è documentato. Quando quella conoscenza esce dalla porta con un dipendente, diventa irrecuperabile.
Capire dove risiedono le informazioni critiche è quindi il primo passo per proteggerle.
3. L’ERRORE DI CALCOLO: la valutazione delle conseguenze
Molti manager pensano: “Siamo troppo piccoli per essere un bersaglio.” Ma lo spionaggio nelle imprese non richiede operazioni su larga scala né tecnologie costose: basta individuare una vulnerabilità e sfruttarla.
Cosa accadrebbe se un concorrente scoprisse:
- i modelli con cui costruisci il prezzo?
- le condizioni di pagamento offerte ai clienti più importanti?
- l’identità dei fornitori considerati più affidabili?
In questi casi il danno economico è solo una parte del problema: la perdita di reputazione può essere irreversibile.
La soluzione?
Un cambiamento culturale.
Le PMI devono infatti cominciare a trattare le informazioni come un bene aziendale, da misurare, valutare, proteggere e assicurare.
Un approccio pratico consiste nell’audit interno dei dati e nella loro classificazione per sensibilità.
A ogni categoria dovrebbe essere infatti attribuito un indice di rischio:
- cosa succede se questi dati vengono rubati?
- o alterati?
- o resi pubblici?
In base alla categoria e al livello di rischio, le misure di protezione (tecniche, legali, organizzative) devono essere proporzionate. La cybersicurezza è solo uno strato della difesa possibile. E spesso non il più efficace.
I dati possono infatti essere trafugati attraverso conversazioni, documenti smarriti, o semplice negligenza.
Per questo, creare una vera cultura della sicurezza significa:
- formare i dipendenti affinché riconoscano i segnali di rischio;
- limitare l’accesso ai dati non necessari;
- favorire un senso di responsabilità condivisa.
Quindi la miglior protezione non è la tecnologia, è la consapevolezza.
Un altro punto chiave: la minaccia interna.
I numeri ci dicono che la maggior parte delle violazioni coinvolge qualcuno dall’interno, sia per dolo che per negligenza.
Bisogna quindi avere:
- regole chiare sull’accesso ai dati;
- accordi di riservatezza;
- clausole post-contrattuali.
…non è burocrazia, ma l’equivalente moderno dei lucchetti ai cancelli della fabbrica.
Ma come prepararsi al peggio?
Ogni azienda dovrebbe avere un piano di risposta agli incidenti:
- sapere chi chiamare;
- cosa isolare;
- come contenere e documentare la violazione.
Ognuno di questi accorgimenti può fare la differenza tra una crisi gestibile e un disastro esistenziale: ogni PMI dovrebbe avere almeno un piano base di emergenza per il furto di dati, come ce l’ha per gli incendi o gli allagamenti.
Perché anche la protezione legale non va trascurata?
Registrare disegni, depositare brevetti e garantire la copertura del copyright sono strumenti essenziali di difesa. Ciò che non può essere protetto dal diritto d’autore può essere comunque tutelato contrattualmente, tramite:
- clausole di riservatezza;
- accordi NDA;
- documentazione interna che provi la proprietà intellettuale e l’originalità.
La responsabilità finale è della leadership: i dirigenti e i membri del CdA potrebbero non essere responsabili diretti di ogni incidente, ma sono responsabili delle sue conseguenze.
Partiamo da un esempio.
Un furto di dati può causare:
- interruzioni nella catena di fornitura;
- sanzioni normative;
- perdita di fiducia da parte degli investitori.
In questi casi, un dirigente che non agisce pur conoscendo il rischio è, nella migliore delle ipotesi, negligente, nella peggiore, complice.
Proteggere i dati non è solo una questione tecnica o normativa. È un atto fondamentale di autodifesa.
Il primo passo è riconoscere che i dati e la proprietà intellettuale sono il cuore della competitività.
Le PMI italiane si sono costruite una reputazione basata su creatività, precisione e fiducia, e per conservarla, devono imparare a proteggere gli asset invisibili che la sostengono.
Bisogna prima di tutto riconoscere e comprendere la minaccia.
Solo dopo aver accettato che il rischio esiste, un’azienda può iniziare a costruire le contromisure necessarie per evitare di diventare una vittima dello spionaggio aziendale o industriale.

Autore: Mark William Lowe
Direttore di Monact Risk Assessment Services, esperto in gestione del rischio e della sicurezza