Corte di Cassazione: criteri di scelta nei licenziamenti collettivi
Con l’ordinanza n. 36451 del 24 novembre 2021, la Corte di Cassazione ha stabilito che, nell’ambito di un licenziamento collettivo, è legittima l’adozione concordata tra le parti sociali di criteri di scelta dei lavoratori da licenziare anche difformi da quelli legali, purché rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità. Inoltre, è legittima la scelta di escludere dalla comparazione i lavoratori di equivalente professionalità che siano però addetti ad unità produttive non soppresse dislocate sul territorio nazionale.
La Corte d’Appello di Roma aveva accolto il reclamo proposto da una società e, di conseguenza, aveva rigettato le domande proposte da alcuni lavoratori intese ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento loro intimato nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo.
In sintesi, i giudici di merito avevano escluso la violazione dei criteri di scelta di cui all'art. 5, Legge 223/1991, per avere la società delimitato il bacino di comparazione per individuare i dipendenti da licenziare ai soli lavoratori addetti alle unità produttive destinate alla chiusura. Ciò pur sussistendo fungibilità di mansioni con altri lavoratori addetti ad altre sedi.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, i lavoratori proponevano ricorso in Cassazione.
La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso dei lavoratori e sostenendo la decisione della Corte di Appello, ha riaffermato il principio secondo il quale nell’ambito di un licenziamento collettivo è legittima l’adozione concordata tra le parti sociali di criteri di scelta dei lavoratori da licenziare anche difformi da quelli legali, purché rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità.
La delimitazione della platea dei lavoratori coinvolti nella procedura è ritenuta legittima, ove non sia trascurato, nella scelta dei lavoratori impiegati nel sito soppresso o ridotto, “il possesso di professionalità equivalente di addetti ad altre realtà organizzative".
Tuttavia, nel caso in esame, “l'infungibilità delle mansioni è stata individuata nella peculiarità di ogni sito produttivo, in ragione delle commesse trattate, ognuna esigente una diversa e specifica formazione” da realizzare attraverso “l'attuazione di interventi formativi, organizzativi e logistici” (trasferimenti collettivi) “incompatibili con la situazione economica dell'azienda”.
La Suprema Corte ha, pertanto, confermato la legittimità della scelta di escludere dalla comparazione i lavoratori addetti ad unità produttive non soppresse dislocate sul territorio nazionale. Ciò in quanto il mantenimento in servizio dei dipendenti appartenenti all’unità soppressa esigerebbe il loro trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo.