Comporto superato: non basta la disabilità per annullare il licenziamento

La Corte d’Appello conferma: serve un legame diretto tra patologie e invalidità.

 
lavoratore documenti licenziamento

Con la sentenza n. 713/2025, la Corte d’Appello di Palermo ha chiarito che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non può essere considerato discriminatorio nei confronti di un lavoratore disabile, se non viene dimostrato un legame diretto tra le assenze e la condizione di disabilità.

Il caso

Il ricorso nasce dalla vicenda di un lavoratore assunto in quota di riserva, ai sensi della Legge n. 68/1999, in quanto invalido civile con una percentuale di invalidità del 65%. Dopo essere stato licenziato dalla propria azienda per superamento del periodo di comporto, il lavoratore ha impugnato il provvedimento sostenendone il carattere discriminatorio. Il Tribunale ha rigettato il ricorso e il dipendente ha quindi proposto appello.

La valutazione della Corte d’Appello

Nel confermare la decisione di primo grado, la Corte richiama i principi applicabili ai giudizi in materia di discriminazione, in attuazione delle direttive europee n. 2000/78/CE, n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, come interpretate dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In base a tali orientamenti – ribaditi anche dalla recente sentenza della Cassazione n. 6965/2025 – il lavoratore ha l’onere di:

  • indicare il fattore di rischio (come la disabilità);
  • dimostrare di aver subito un trattamento meno favorevole rispetto a colleghi in situazioni analoghe;
  • evidenziare una correlazione significativa tra il fattore di rischio e il provvedimento contestato.

Il datore di lavoro, dal canto suo, è tenuto a fornire elementi concreti, precisi e coerenti che escludano in modo inequivoco l’intento discriminatorio.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che il licenziamento per comporto non può considerarsi discriminatorio in base alla sola condizione di disabilità del lavoratore. È necessario dimostrare che le assenze prolungate siano direttamente e strettamente legate a patologie riconducibili a tale disabilità.

Il lavoratore, però, non ha fornito alcuna prova concreta in tal senso. In particolare:

  • si è limitato a riferirsi in modo generico alla propria disabilità, senza specificare quali patologie abbiano causato le assenze;
  • non ha prodotto documentazione medica che attestasse un nesso tra le patologie e lo stato di invalidità, né elementi che dimostrassero che le mansioni assegnate fossero in contrasto con le limitazioni previste dalla sorveglianza sanitaria.

In assenza di questi elementi, la Corte ha ritenuto infondata l’ipotesi di discriminazione e ha confermato la legittimità del licenziamento, rigettando l’appello.


Termini da conoscere

  • Periodo di comporto: periodo massimo di assenza giustificata consentito dalla legge o dal contratto. Vai alla voce
  • Discriminazione indiretta: situazione in cui una norma o prassi, pur neutrale, penalizza una categoria protetta. Vai alla voce
  • Disabilità (ai fini lavoristici): condizione che comporta limitazioni e tutele specifiche nel rapporto di lavoro. Vai alla voce
  • Accomodamento ragionevole: misura adottata per garantire pari opportunità ai lavoratori con disabilità. Vai alla voce

 

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