Operazioni soggettivamente inesistenti: non basta che i costi siano documentati
I costi per operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili solo se il contribuente prova inerenza, effettività e competenza. Non basta quindi che i costi siano documentati nelle fatture passive di operazioni soggettivamente inesistenti affinché risultino deducibili, anche alla luce dello ius superveniens di cui all’art. 8 dl 16/2012. Spetta al contribuente dimostrare l’effettività, l’inerenza, la competenza e la certezza di tali costi sostenuti.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 10059 del 15 aprile 2024, con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
In caso di accertamento, grava sul contribuente l'onere della prova dell'esistenza, dell'inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili.
A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata, essendo anche necessario che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre all'importo, la ragione / coerenza economica della stessa, risultando legittima, in mancanza, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell’impresa.
Come esplicitato nel “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali” del Comando Generale della Guardia di Finanza (Circolare n. 1/2018), in un sistema di frode basato sull’emissione e sull’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, circoscritto al territorio nazionale, i documenti fiscali vengono rilasciati da imprese fittizie (dette anche “società di comodo”) create al solo fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte, celando la frode dietro lo schermo contabile di cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate da altre imprese, realmente operative, che vengono nascoste al Fisco.