Il comporto ordinario a un lavoratore disabile costituisce una discriminazione

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 9095/2023

 
handicap

L’applicazione dell’ordinario periodo di comporto ad un lavoratore disabile rappresenta una discriminazione indiretta, dal momento che questo è esposto al rischio di ulteriori assenze per malattia collegata alla disabilità. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 9095/2023.

I fatti di causa

Il Lavoratore, portatore di handicap con capacità lavorativa ridotta del 75% ed addetto ai servizi di igiene urbana, veniva licenziato per superamento del periodo di comporto. Il licenziamento veniva impugnato in quanto ritenuto discriminatorio poiché le malattie in cui era incorso il lavoratore erano riconducibili al suo stato di disabilità.

La sentenza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione riferisce, in via preliminare, della meritevolezza della scelta della contrattazione collettiva di fissare un limite massimo in termine di giorni di assenza per malattia del lavoratore in quanto espressione della legittima volontà di combattere i fenomeni di assenteismo.

Tuttavia, a parere della Corte, tale finalità deve essere attuata con mezzi appropriati e necessari, e quindi proporzionati, ragione per cui, la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità del lavoratore disabile, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio apparentemente neutro del computo del periodo di comporto in una prassi discriminatoria nei confronti dei lavoratori disabili, lavoratori invece meritevoli di particolare protezione sociale.

Pertanto, qualora i termini del comporto vengano applicati indifferentemente a lavoratori normodotati e disabili, senza prendere in considerazione la maggiore vulnerabilità dei soggetti portatore di handicap, la loro posizione di svantaggio non riceve una tutela adeguata, integrando di fatto una discriminazione indiretta avverso i lavoratori disabili.

Sempre a parere della Corte di Cassazione, la discriminazione opera in modo oggettivo ed è irrilevante l’intento soggettivo dell’autore. Non ha altresì alcun valore l’assunto del datore di lavoro di non essere stato messo al corrente del motivo delle assenze del lavoratore poiché i certificati medici inviati dal lavoratore disabile al datore di lavoro non riportavano la malattia.

La discriminazione, infatti, opera in maniera obiettiva, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro.

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