Dimissioni per fatti concludenti e periodo di prova nei contratti a termine: i chiarimenti del Ministero

Con Circolare 6 del 27 marzo 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali torna sul “Collegato lavoro” , la Legge 13 dicembre 2024, n. 203 recante “Disposizioni in materia di lavoro”, con alcuni chiarimenti ed indicazioni operative, in merito agli istituti disciplinati dal “Collegato Lavoro”, che più hanno destato dubbi interpretativi tra imprese e professionisti. In particolare sui temi relativi a
- dimissioni per fatti concludenti, ovvero il riconoscimento delle dimissioni in assenza di una dichiarazione esplicita, sulla base di comportamenti inequivocabili del lavoratore.
- periodo di prova, con chiarimenti sulle modalità di applicazione nei diversi contratti.
La disposizione relativa alla disciplina delle cosiddette “dimissioni per fatti concludenti”, di cui all’art. 19 della Legge n. 203/2024, ha riconosciuto espressamente la possibilità che il rapporto di lavoro si concluda per effetto delle “dimissioni per fatti concludenti”, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore, protratta per oltre 15 giorni, in mancanza di diversa previsione del Ccnl di riferimento.
La Circolare ministeriale, conferma che la procedura per “dimissioni per fatti concludenti”, e la relativa comunicazione all’Ispettorato territoriale del Lavoro, va attivata solo laddove il datore di lavoro intenda far valere l’assenza ingiustificata del lavoratore ai fini della risoluzione di fatto del rapporto di lavoro e pertanto non va effettuata sempre e in ogni caso. Pertanto a fronte dell’assenza ingiustificata del lavoratore, il datore di lavoro potrà valutare, se procedere con un licenziamento disciplinare oppure con la procedura per “dimissioni per fatti concludenti”. In tale caso il datore di lavoro dovrà verificare che, l’assenza ingiustificata si sia protratta oltre il termine previsto dal Ccnl di riferimento, in mancanza di disciplina contrattuale per un periodo superiore ai 15 giorni.
I giorni di assenza ingiustificata devono intendersi come giorni di calendario, se non diversamente stabilito dal Ccnl di riferimento.
Tale termine, individuato dalla legge, costituisce il termine legale minimo per consentire al datore di lavoro di comunicare l’assenza ingiustificata del lavoratore all’Ispettorato territoriale del lavoro, con la conseguenza che il datore di lavoro potrà attivare la procedura dal sedicesimo giorno di assenza.
Laddove il Ccnl di riferimento, preveda, invece, un termine diverso, lo stesso troverà applicazione ove sia superiore a quello legale. Se, viceversa, sia previsto dal Ccnl, un termine inferiore, si dovrà fare riferimento al termine legale dei 15 giorni.
Pertanto rispetto alle ipotesi di assenza ingiustificata che normalmente sono previste dai Ccnl per i fini disciplinari, il Ministero del lavoro precisa che i relativi termini non possono essere presi a riferimento anche per le dimissioni di fatto. Conseguentemente i Ccnl dovranno introdurre una specifica disciplina per le dimissioni per fatti concludenti, prevedendo un termine non inferiore a quello legale.
L’assenza ingiustificata riferita ai termini del Ccnl di riferimento potrà condurre solo al licenziamento disciplinare.
La disciplina in esame non è applicabile nei casi di risoluzione consensuale o dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza, o dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o negli ulteriori casi specifici come meglio delineati dall’art. 55 del D. Lgs. n. 151/2001.
La Circolare chiarisce inoltre che, l’effetto risolutivo della comunicazione di cessazione per dimissioni per fatti concludenti è inefficace se il lavoratore:
- dimostra un impedimento oggettivo (es. causa di forza maggiore o ricovero ospedaliero):
- o se ha già presentato dimissioni tramite il portale. Pertanto, anche la presentazione telematica delle dimissioni per giusta causa prevale sulla procedura di cessazione per fatti concludenti avviata dal datore di lavoro.
La comunicazione effettuata presso l’Ispettorato deve essere trasmessa anche al lavoratore, al fine di consentirgli di esercitare in via effettiva il diritto di difesa.
In conseguenza alla cessazione, il datore di lavoro ha facoltà di trattenere l’indennità di mancato preavviso stabilita dal contratto, e per il periodo di assenza del lavoratore non è tenuto al versamento della retribuzione e dei relativi contributi.
Infine il Ministero del Lavoro precisa che, nel caso in cui l’Ispettorato rilevasse la falsità delle comunicazioni rese, il datore di lavoro rischia sanzioni, anche penali.
La Circolare 6 del 27 marzo 2025 fornisce chiarimenti anche in merito alla disciplina dell’articolo 13 del ”Collegato lavoro” che è intervenuta a fissare i criteri per la determinazione del periodo di prova nei contratti a termine. Infatti dal 12 gennaio 2025, viene previsto che, nei contratti a termine, il periodo di prova è stabilito in 1 giorno di effettiva prestazione ogni 15 giorni di calendario a partire dal giorno di inizio della prestazione, prevedendo:
- un limite minimo per la prova pari a 2 giorni di effettiva prestazione;
- dei limiti massimi di:
- 15 giorni per contratti fino a 6 mesi,
- 30 giorni per contratti di durata tra 6 e 12 mesi;
Per contratti oltre i 12 mesi, si applica 1 giorno di prova ogni 15 giorni di calendario, anche oltre la durata massima di 30 giorni.
Sono fatte salve eventuali “previsioni più favorevoli” del Ccnl applicato dal datore di lavoro, mentre non è possibile una disciplina peggiorativa.
La Circolare precisa che, nell’individuazione della previsione più favorevole tra disposizione contrattuale e normativa, prevale quella che prevede una minore durata del periodo di prova, in quanto limita la fase di maggiore precarietà del rapporto, tutelando così il lavoratore.