Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: la Cassazione torna sull’obbligo di repêchage
Una lavoratrice impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole dal proprio datore di lavoro a seguito della soppressione della posizione ricoperta durante l’intercorso rapporto di lavoro.
La Corte distrettuale, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava l’impugnativa proposta sull’assunto che la soppressione era stata provata e che la lavoratrice non aveva le competenze per essere assegnata alle altre posizioni disponibili dopo la riorganizzazione aziendale.
La lavoratrice si rivolgeva così alla Corte di Cassazione che, riprendendo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha innanzitutto ribadito che spetta al datore di lavoro allegare e provare l’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, senza che su questi incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili.
In sostanza, il datore di lavoro ha l’onere di fornire la prova di fatti e circostanze esistenti, di tipo indiziario o presuntivo, idonei a persuadere il giudice della veridicità di quanto sostenuto circa l’impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale.
La Corte di Cassazione ha anche evidenziato che il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al lavoratore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga dallo stesso accettata.
Inoltre, è stato affermato che, pur non potendosi pregiudizialmente negare che l'obbligo di repêchage possa incontrare un limite nel fatto che il licenziando non abbia la capacità professionale richiesta per occupare il diverso posto di lavoro, tuttavia è evidente che ciò debba risultare da circostanze oggettivamente riscontrabili; altrimenti si lascerebbe l'adempimento dell'obbligo alla volontà meramente potestativa dell'imprenditore.
Calando questi principi nella fattispecie sottoposta al suo esame, la Corte di Cassazione ha osservato che, una volta accertato che il datore di lavoro ha proceduto ad una serie di assunzioni contestualmente o in periodo prossimo al licenziamento, la verifica in ordine all’incapacità professionale della lavoratrice di svolgere le mansioni, anche inferiori, deve essere effettuata in concreto.
La Corte si sofferma così sull’attuale formulazione dell’art. 2103 c.c. secondo la quale “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (…) ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”, sottolineando che l’area delle mansioni esigibili dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore è delimitata per relationem dal livello di inquadramento individuato sulla base della disciplina collettiva, oltre che della categoria legale. Il livello di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva diventa, quindi, lo strumento di determinazione della mobilità orizzontale, consentendo al datore di mutare le mansioni del dipendente purché “riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento”.
Sempre l'art. 2103 c.c. al comma 2 stabilisce, altresì, che “In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”. In altre parole, ad avviso della Corte di Cassazione, si consente l'assegnazione a mansioni inferiori, anche a prescindere dal consenso del lavoratore, nel caso di modifiche organizzative, tra le quali non può certo escludersi la soppressione che incide sulla posizione di un determinato lavoratore tanto da candidarlo al licenziamento.
In tale rinnovato contesto legale, nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva costituisce elemento essenziale che il giudice dovrà valutare per accertare in concreto se chi è stato licenziato fosse o meno in grado di espletare le mansioni di chi è stato assunto ex novo, sebbene inquadrato nel medesimo livello o livello inferiore.
La Corte di Cassazione, non rivenendo tale valutazione della pronuncia impugnata, ha concluso per l’accoglimento del ricorso proposto dalla lavoratrice.