Omessa comunicazione del mutamento di dimora: no al licenziamento

Un lavoratore, licenziato perché risultato ingiustificatamente assente alla visita domiciliare disposta dall’INPS, impugnava giudizialmente il provvedimento datoriale. La Corte d’appello, in sede di riassunzione a seguito della cassazione della sua sentenza, confermava la pronuncia di primo grado, annullando, ai sensi del 4 comma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, il licenziamento e condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro nonché a corrispondergli una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre alla regolarizzazione previdenziale.Questi i motivi:
- in giudizio era emerso che il lavoratore aveva comunicato il mutamento di dimora all’INPS contattando il numero verde messo a disposizione – ma non anche al datore di lavoro come, invece, previsto dal CCNL di settore;
- l’omessa comunicazione al datore di lavoro di tale mutamento era punibile, ai sensi del CCNL di settore, con la sanzione conservativa della multa.
Per la cassazione della sentenza promuoveva ricorso la società soccombente a cui ha resisteva il lavoratore.
La Corte di Cassazione ha, innanzitutto, sottolineato che l’esito infruttuoso della visita di controllo deve essere addebitata all’Istituto previdenziale che non aveva tenuto conto dell’indirizzo comunicatogli del lavoratore. Pertanto, non vi è stata da parte del lavoratore alcuna assenza ingiustificata.
Tuttavia, il lavoratore, omettendo di dare immediata notizia del cambio di dimora anche al datore di lavoro, è incorso in una infrazione disciplinare per la quale il CCNL prevede una sanzione conservativa, ovvero la multa.
Al riguardo la Corte di Cassazione ha osservato che in tema di licenziamento disciplinare, il giudice deve preliminarmente accertare se ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, quali presupposti condizionanti la legittimità del recesso e, solo ove ravvisi la mancanza della causa giustificativa, deve provvedere a selezionare la tutela applicabile ed, in particolare, se si tratti di quella generale ex comma 5 o di quella ex comma 4 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, operante nei soli casi ivi previsti (cfr. Cass. 1742/2020 e 3076/2020).
Ciò detto il giudice, ove accerti un atto che pur disciplinarmente rilevante sia diverso rispetto a quello contestato, è tenuto a verificare quale sia la tutela applicabile e qualora accerti che si tratta di una condotta punita con una sanzione conservativa deve applicare la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970.
In considerazione di quanto sopra esposto la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso presentato dall’azienda, condannandola alle spese del giudizio.