Pagamento della retribuzione in contanti: inammissibilità della prova testimoniale

Il Tribunale di Ancona, con sentenza del 27 marzo 2022, ha statuito come il datore di lavoro non può provare attraverso la prova testimoniale l’avvenuto pagamento della retribuzione in contanti, restando per conseguenza obbligato a versare gli stipendi che il lavoratore lamenta di non aver percepito.
Il lavoratore aveva agito in giudizio avverso la società datrice di lavoro chiedendo il pagamento delle retribuzioni da novembre 2020 a maggio 2021 come risultanti da buste paga depositate in atti ed ottenendo, a tal fine, decreto ingiuntivo. In sede di giudizio di opposizione il datore di lavoro aveva contestato la pretesa creditoria del lavoratore eccependo l’avvenuto pagamento in contanti delle retribuzioni richieste.
Il Tribunale di Ancona ha rigettato l’opposizione proposta dal datore di lavoro sentenziando l’inammissibilità della prova testimoniale richiesta da quest’ultimo e volta a dimostrare in giudizio come il pagamento delle predette retribuzioni fosse avvenuto in contanti.
Il Giudice, infatti, tenuto conto della qualità della parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, non ha ravvisato l’opportunità della prova testimoniale pertanto rigettando la richiesta probatoria del datore di lavoro fondata sul secondo comma dell’articolo 2721 c.c. in combinato disposto con l’articolo 2726 c.c. nella parte in cui consente la prova per testimoni dei contratti e dei pagamenti, anche per importi eccedenti le 2,58 euro di cui al primo comma del predetto articolo.
In particolare, il Tribunale di Ancora, in senso conforme al precedente giurisprudenziale espresso dalla Corte di Appello di Milano del 10 febbraio 2017 (secondo il quale la prova testimoniale dei pagamenti, per superare il rigido vaglio di ammissibilità previsto dagli articoli 2726 e 2721 c.c. deve essere particolarmente specifica e dettagliare non solo con quali modalità è avvenuta la consegna del denaro al presunto debitore, ma anche in che modo il creditore si sarebbe procurato la provvista necessaria per il pagamento), ha ritenuto non sussistessero elementi sufficienti per superare tale preclusione.
Il Giudice di primo grado ha infatti ritenuto censurabile il comportamento tenuto dal datore di lavoro e consistito nell’aver omesso sia di richiedere al lavoratore qualsivoglia quietanza di pagamento, sia di predisporre qualsivoglia documentazione scritta relativa agli asseriti pagamenti.