Patto di non concorrenza: quando e come valutare il compenso

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 9263/2025,

 
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La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 9263/2025, ha chiarito un aspetto fondamentale sul patto di non concorrenza stipulato tra datore di lavoro e dipendente: la congruità del corrispettivo economico va valutata ex ante, cioè nel momento in cui viene definito l’accordo, e non sulla base di quanto avverrà nel tempo.

Il caso esaminato

Il caso riguardava una lavoratrice che, al momento dell’assunzione, aveva firmato un patto di non concorrenza valido per 20 mesi dopo la cessazione del rapporto, con validità territoriale limitata alla Regione Lombardia. In cambio, era previsto un compenso di 6.000 euro complessivi in tre anni, suddiviso in due rate semestrali da erogare durante il rapporto di lavoro.

A seguito delle dimissioni della lavoratrice, l’azienda ha avviato un’azione legale, sostenendo che il patto fosse stato violato. Tuttavia, la Corte d’Appello ha annullato il patto, ritenendolo nullo per indeterminatezza e per mancanza di un criterio certo di congruità economica.

I punti critici evidenziati in Appello

Nel valutare la validità del patto di non concorrenza, la Corte d’Appello ha messo in evidenza alcune criticità legate alla determinazione del compenso. In particolare, ha rilevato come l’importo pattuito fosse strettamente collegato alla durata del rapporto di lavoro, elemento di per sé incerto e non prevedibile. Questa impostazione rendeva il compenso potenzialmente inadeguato, specialmente in caso di cessazione anticipata del rapporto, senza alcuna garanzia per la lavoratrice.

Proprio ciò che si è verificato nel caso concreto: avendo lasciato l’azienda prima dei tre anni previsti, la lavoratrice aveva percepito solo 3.000 euro lordi, un importo ritenuto evidentemente sproporzionato rispetto al vincolo di non concorrenza di 20 mesi successivi alla cessazione. Inoltre, la clausola contrattuale non prevedeva un importo minimo garantito, e questo ha determinato una retribuzione aggiuntiva pari a circa il 6% della retribuzione annua lorda della lavoratrice, percentuale giudicata non congrua in rapporto all’obbligo assunto.

Il principio affermato dalla Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato l’impostazione, ricordando che il patto di non concorrenza è un accordo autonomo rispetto al contratto di lavoro. Anche se viene firmato durante il rapporto, il suo effetto si attiva dopo la cessazione dell’attività lavorativa.

Per questo motivo, il compenso pattuito va valutato al momento della stipula. È irrilevante che il patto sia firmato all’inizio, durante o alla fine del rapporto di lavoro. Conta solo che, in base al contenuto dell’accordo, l’importo previsto sia adeguato al sacrificio richiesto al lavoratore.

Cosa significa per le imprese?

Per i datori di lavoro che intendono inserire un patto di non concorrenza, è importante:

  • Definire chiaramente durata, ambito territoriale e oggetto del vincolo;
  • Assicurarsi che il compenso sia proporzionato, già al momento della firma, al vincolo imposto;
  • Valutare l’opportunità di prevedere una clausola di minimo garantito, in caso di cessazione anticipata del rapporto.

Una formulazione chiara e ben calibrata del patto riduce i rischi di contenzioso e rende l’accordo efficace e valido anche in sede giudiziaria.


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