Intangibili i diritti diventati parte del patrimonio del dipendente
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14216, depositata il 23 maggio 2023, ha osservato che ai fini dell’intangibilità di un emolumento riconosciuto per effetto della contrattazione collettiva (nel caso di specie una agevolazione tariffaria sull’energia elettrica), non basta dimostrare la sua natura retributiva, ma occorre provare che esso è diventato parte del patrimonio del dipendente come “diritto quesito”.
Alcuni lavoratori in pensione avevano adito l’autorità giudiziaria affinché venisse accertato e dichiarato il loro diritto al mantenimento dello sconto tariffario sull’energia elettrica come beneficiato sino al 31 dicembre 2015 e revocato unilateralmente dalla società ex datrice di lavoro, chiedendo la condanna di quest’ultima al ripristino della relativa erogazione dal 1° gennaio 2016 nonché al rimborso degli importi pagati in più da tale data sino al soddisfo.
Sia in primo che in secondo grado le domande dei lavoratori non venivano accolte, con loro condanna al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso la decisione di merito, i lavoratori ricorrevano in cassazione, eccependo che l’agevolazione tariffaria non poteva essere considerata un atto di liberalità del datore di lavoro, avendo le caratteristiche proprie della retribuzione, quali l’obbligatorietà, la continuità e l’irriducibilità. A dimostrazione, sottolineavano che la stessa era stata caratterizzata come fringe benefits soggetto a tassazione da reddito da lavoro dipendente quando il suo valore superava i 258,23 Euro.
Peraltro, secondo i lavoratori, lo sconto tariffario era entrato a far parte del loro patrimonio a tal punto da modificarne lo stile di vita e, proprio in forza dell’affidamento ad esso, necessitava di uno specifico procedimento di modifica, trattandosi di un diritto quesito.
La Corte di Cassazione ha, innanzitutto, evidenziato che lo sconto tariffario non poteva essere considerato alla stregua di un elemento retributivo in natura, poiché la sua misura è stata determinata “in maniera del tutto indipendente rispetto a qualsiasi parametro riferibile alla prestazione del singolo beneficiario”.
Il godimento del beneficio prescindeva totalmente dall’anzianità di servizio, dalla qualifica, dalle mansioni e dalle ore lavorate ed il suo controvalore non ha mai avuto incidenza sul calcolo degli istituti contrattuali (mensilità aggiuntive e TFR) né tantomeno sulla misura della pensione.
La Corte di Cassazione ha poi osservato che si trattava di un beneficio strettamente collegato all’uso familiare dell’abitazione principale tant’è che esso, qualora vi fossero stati più componenti di uno stesso nucleo familiare, sarebbe spettato per una sola utenza, come espressamente convenuto dai contratti collettivi di settore succedutisi dal 1961 in avanti.
Peraltro, secondo le previsioni di cui ai predetti CCNL, “l’agevolazione poteva essere concessa ai lavoratori che, già al momento del suo primo riconoscimento, erano in pensione e, quindi, non prestavano attività lavorativa in favore del soggetto concedente nonché ai soggetti che non erano mai stati dipendenti, quali vedove dei lavoratori deceduti per causa di servizio o pensionati, oltre che ai familiari di lavoratori assenti dal servizio”. Casistica in cui non rientravano i lavoratori ricorrenti.
Oltretutto, non può valere a conferma della natura retributiva della agevolazione la sua qualificazione come “reddito da lavoro” ai fini IRPEF, poiché da essa non possono trarsi indicazioni che incidono sulla configurabilità dell’istituto in oggetto nell’ambito del rapporto di lavoro.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che la nozione di retribuzione imponibile ai fini contributivi è più ampia della nozione civilista della retribuzione ex art. 2099 c.c., poiché non ricomprende solo il corrispettivo della prestazione lavorativa ma tutto ciò che il lavoratore riceve o ha il diritto di ricevere dal datore di lavoro in costanza di rapporto. D’altronde, come accertato dalla Corte d’appello, lo sconto tariffario non aveva avuto alcun riflesso sul quantum della pensione dei lavoratori.
La Corte di Cassazione ha anche evidenziato che “ai fini dell’intangibilità di un emolumento riconosciuto ai lavoratori e pensionati per effetto della contrattazione collettiva, non basta dimostrare la sua natura retributiva, ma occorre provare che esso è diventato parte del patrimonio del dipendente come “diritto quesito”. E, nel caso di specie, “il diritto alla agevolazione tariffaria non possa (ndr può) essere considerato un diritto quesito, in quanto non si discute di revoca delle agevolazioni per diritti già fruiti nella vigenza della pattuizione collettiva, bensì di cessazione ex nunc dell’applicazione dello sconto per le future erogazioni di energia elettrica, incerte nell’an e nel quantum”.
In sostanza, i diritti quesiti non possono essere “incisi” dalla contrattazione collettiva solo con riferimento a situazioni già entrate a far parte del patrimonio del dipendente, quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita oppure ancora in relazione ad un evento già maturato.
Invece, “il principio per cui alla contrattazione collettiva non è consentito incidere, in relazione alla regola dell’intangibilità dei diritti quesiti, su posizioni già consolidate o su diritti già entrati a far parte del patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi, non si applica alla distinta ipotesi in cui il contratto collettivo venga ad incidere su posizioni non ancora qualificabili come di diritto soggettivo, ma solo a regolare le condizioni di acquisto di diritti futuri (ad esempio salario non maturato, contingenza non ancora scattata)”.
Nella fattispecie in esame non si verte nel caso di diritti quesiti ma nel caso di mere aspettative legate “al far affidamento sul fatto che anche in futuro e sine die avrebbero goduto di un peculiare beneficio, non previsto da una norma di legge ma di matrice collettiva”. E ciò non può far reputare già acquisito nel patrimonio individuale di ognuno dei lavoratori ricorrenti il diritto all’agevolazione in occasione dei futuri consumi di energia elettrica. Le norme collettive succedutisi nel tempo andavano, infatti, a regolare solo condizioni di acquisto di diritti futuri.
La Corte di Cassazione ha così deciso per il rigetto del ricorso presentato dai lavoratori, condannandoli alle spese del giudizio di legittimità.