Licenziamento per superamento del periodo di comporto: la sentenza della Cassazione

In tema di licenziamento per superamento del comporto cosiddetto “secco”, ovvero per unico ed ininterrotto periodo di malattia, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, fermo restando l’onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato.
Diversamente, in ipotesi di comporto cosiddetto “per sommatoria”, ovvero per plurime e frammentate assenze, occorre l’indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore.
Ne consegue pertanto che, in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto “per sommatoria”, non si può tenere conto delle assenze non indicate nella lettera di licenziamento.
Un’amministrazione pubblica aveva licenziato una lavoratrice per superamento del periodo di comporto per sommatoria, specificando nell’atto i singoli giorni di assenza che, dalla sommatoria risultavano ammontanti a complessivi 472 giorni, quindi numericamente insufficienti per il superamento del comporto fissato dalla contrattazione collettiva in complessivi 484 giorni.
In giudizio l’Ente aveva poi preteso che si prendessero in considerazione ulteriori giornate, il cui numero consentiva effettivamente il superamento per sommatoria del comporto.
Il Tribunale di Udine in primo grado, e nel giudizio di appello la Corte di Appello di Trieste, rigettavano la richiesta dell’amministrazione pubblica, di fatto pronunciando l’illegittimità del licenziamento e affermando il principio per il quale, se il datore di lavoro nel provvedimento espulsivo provvede a specificare le giornate di assenza del lavoratore, non può più modificarle o successivamente aggiungerne altre.
La Corte di Cassazione, ribadendo l’orientamento giurisprudenziale espresso da ultimo con le sentenze n. 10252 del 18 maggio 2016 e n. 5752 del 27 febbraio 2019, ha confermato che, in tema di licenziamento per superamento del comporto, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, anche sulla base del novellato articolo 2 della Legge 604/1966 che impone la comunicazione contestuale dei motivi, fermo restando l’onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato; tuttavia ciò vale esclusivamente per il comporto cosiddetto "secco" ovvero per un unico interrotto periodo di malattia giustificante il licenziamento, ove i giorni di assenza sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore.
Al contrario, nel comporto cosiddetto "per sommatoria", ovvero in caso di plurime e frammentate assenze, occorre un’indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore.
La Suprema Corte di Cassazione precisa infatti che, anche nel caso del licenziamento per superamento del periodo di comporto, vale la regola dell’immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo di licenziamento posta a garanzia del lavoratore, il quale altrimenti vedrebbe frustrata la possibilità di contestare l’atto di recesso, con la conseguenza che, ai fini del superamento del periodo di comporto, non può tenersi conto delle assenze non indicate nella lettera di licenziamento, sempre che il lavoratore abbia contestato il superamento del periodo di comporto e che si tratti di ipotesi di comporto per sommatoria, essendo esclusa, invece, l’esigenza di una specifica indicazione delle giornate di malattia nel caso di assenza continuativa.
La Suprema Corte ha pertanto confermato il giudizio della Corte di Appello secondo il quale se il datore di lavoro nel provvedimento espulsivo ha specificato le giornate di assenza del dipendente non può modificarle o aggiungerne altre in un momento successivo.