Nullo il patto di prova se le mansioni sono generiche

Il patto di prova è nullo se non è accompagnato dalla descrizione chiara e specifica delle mansioni. Dalla nullità del patto di prova ne deriva la conversione (in senso atecnico) del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato che quindi può essere interrotto solo applicando il regime ordinario in materia di licenziamento. La sentenza della Corte di Appello di Milano, sentenza n. 258 del 6 marzo 2023.
Un lavoratore - assunto con mansioni di “impiegato capo area” e periodo di prova della durata di mesi 5 - veniva licenziato, decorsi due mesi dall’inizio della prestazione di lavoro, per mancato superamento del periodo di prova.
Il lavoratore impugnava il licenziamento innanzi al Tribunale di Milano deducendo la nullità della clausola contrattuale appositiva del patto di prova in quanto era assente la specifica indicazione delle mansioni da “Capo Area”, soprattutto alla luce del fatto che il c.c.n.l. prevedeva 17 specifici profili professionali tutti sussumibili nella categoria del “Capo Area”, nessuno di essi specificato nel contratto di assunzione.
Il lavoratore, quale conseguenza della predetta nullità, richiedeva in via principale al Tribunale di Milano l’applicazione della tutela reintegratoria di cui all’articolo 2 del d.lgs. 23/2015.
Il Tribunale di Milano rigettava il ricorso del lavoratore in quanto riteneva che l’indicazione delle mansioni oggetto del patto di prova potesse essere ricavata, per relationem, dalle declaratorie del contratto collettivo che definiscono le mansioni comprese nella qualifica di assunzione.
Il lavoratore proponeva quindi appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Milano ribadendo la nullità del patto di prova per avvenuta omissione dell’indicazione delle mansioni oggetto del patto di prova.
La Corte di Appello di Milano ha accolto il ricorso del lavoratore ed ha quindi dichiarato illegittimo il licenziamento per nullità del patto di prova.
Anzitutto la Corte di Appello di Milano, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha ribadito come il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto. È invece ammesso il rinvio al contratto collettivo soltanto qualora il richiamo sia sufficientemente specifico con la conseguenza che, se nella declaratoria contrattuale vi sono diversi profili per lo stesso livello, bisogna indicare con precisione a quale di questi si fa riferimento.
Sempre a parere della Corte di Appello di Milano questa indicazione specifica è un presupposto indispensabile affinché il datore di lavoro posso esprimere validamente la propria insindacabile valutazione in merito all’esito della prova. Quindi se una categoria prevista dal contratto collettivo accorpa più di un livello professionale è necessario fare riferimento nel patto di prova al singolo e specifico profilo professionale, onde evitare di cadere nel vizio di genericità.
Quale conseguenza della nullità del patto di prova, la Corte di Appello ha dichiarato nullo anche il licenziamento con conseguente applicazione della tutela reintegratoria piena di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2015.
A parere della Corte infatti il vizio genetico del patto di prova determina la conversione (in senso atecnico) del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato che quindi può essere interrotto solo applicando il regime ordinario in materia di licenziamento.