Offende l'azienda su Facebook: legittimo il licenziamento
Con sentenza del 13 ottobre 2021, n. 27939, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare per grave insubordinazione nei confronti di un lavoratore che ha pubblicato su Facebook un post con contenuti gravemente offensivi nei confronti dei vertici aziendali.
Nel novembre 2016 un lavoratore dipendente di una società di comunicazione pubblicitaria veniva licenziato per giusta causa per aver pubblicato sul social network Facebook un post dal contenuto giudicato “altamente e gravemente offensivo” contro il proprio datore di lavoro e alcuni vertici aziendali.
Il lavoratore impugnava il licenziamento ma l’impugnazione non veniva accolta né in primo grado nel giudizio di impugnazione in grado di appello. Il lavoratore decideva così di depositare ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione.
Il lavoratore, richiamando il combinato disposto degli artt. 15 Costituzione, 2697 codice civile e 595 codice penale, deduceva preliminarmente l’illegittima acquisizione da parte della società dei post presenti sulla propria pagina Facebook, in quanto destinati alla comunicazione esclusiva con i propri “amici” e pertanto espressamente riservata.
La Corte di Cassazione, chiamata dunque a pronunciarsi circa la possibilità di utilizzare il post pubblicato sul social network quale idoneo fondamento della contestazione disciplinare, ha statuito che l'esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni può essere riferita soltanto a messaggi scambiati in una chat – che possono essere equiparati alla corrispondenza privata, chiusa e inviolabile – in quanto diretti unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone. Secondo i Giudici di legittimità, non sussiste, invece, una tale esigenza di protezione nel caso in cui il messaggio sia pubblicato in un profilo Facebook, mezzo da considerarsi idoneo a determinare la circolazione del relativo contenuto tra un gruppo indeterminato di persone.
Ancora secondo quando sostenuto dal lavoratore, la pubblicazione del “post” sul social network risulterebbe incompatibile con qualsiasi condotta denigratoria e diffamatoria, trattandosi invece di mera libertà di espressione.
Anche tale motivo di ricorso per cassazione è stato respinta dalla Suprema Corte che ha invece statuito come “la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana riconosciute dall’art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, dal momento che l’efficienza di quest’ultima riposa sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti, quadri e intermedi ed essa risente un indubbio pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli”.