Patto di non concorrenza: nulla la clausola che consente al datore di lavoro di recedere in costanza di rapporto

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 23723 del 1° settembre 2021

 
sentenza corte giustizia

È illegittimo il recesso, in costanza di rapporto, disposto dal datore di lavoro da un patto di non concorrenza stipulato al momento dell’assunzione di una dipendente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23723 del 1° settembre 2021.

Nel caso in esame, la Suprema Corte ribaltava le decisioni dei due primi gradi di giudizio accogliendo il ricorso della lavoratrice che aveva lamentato:

  • la nullità della clausola di recesso unilaterale dal patto di non concorrenza operato dalla società, datrice di lavoro, in corso del rapporto di lavoro;
  • il conseguente ottenimento dell’importo dovuto dalla società per la clausola del patto di non concorrenza per i due anni successivi alla cessazione del rapporto.

La Corte di Cassazione ha, innanzitutto, ribadito - rifacendosi a precedenti pronunce (Cass. n. 10536 del 2020; Cass. n. 10535 del 2020; Cass. n. 3 del 2018) - che la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa alla sola volontà e potestà del datore di lavoro costituisce una clausola nulla per contrasto con norme imperative.

Secondo la Corte tale clausola non può influire sulla validità del patto di non concorrenza con il diritto della lavoratrice al compenso, in quanto le reciproche obbligazioni (il pagamento da parte del datore di lavoro del relativo corrispettivo e l’obbligo di non concorrenza della lavoratrice per i due anni successivi alla cessazione del rapporto), una volta sottoscritte, sono “cristallizzate” e la volontà successiva del datore non può avere effetto.

Il patto di non concorrenza, infatti, ha impedito alla lavoratrice di progettare il proprio futuro lavorativo comprimendo la sua libertà. Detta compressione, ai sensi dell’art. 1125 cod.civ., non può avvenire senza l’obbligo del pagamento di un corrispettivo da parte del datore.

La Corte di Cassazione ha quindi accolto il ricorso della lavoratrice che avrà diritto di ottenere dalla società il pagamento del corrispettivo previsto dal patto di non concorrenza sottoscritto.

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