Licenziamento per inidoneità: obbligo di accomodamenti ragionevoli e verifica del repêchage

Il Tribunale di Benevento, con sentenza n. 1152/2025 del 7 novembre 2025, è intervenuto sul tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore. Il giudice ha ribadito che il datore di lavoro ha l’obbligo non solo di verificare la possibilità di repêchage, ma anche di esaminare e, quando sostenibile, adottare “accomodamenti ragionevoli” che consentano la prosecuzione del rapporto di lavoro. La mancata dimostrazione di queste verifiche comporta l’illegittimità del licenziamento.
Gli accomodamenti ragionevoli sono interventi concreti che permettono al lavoratore di continuare a svolgere la propria attività senza gravare in modo eccessivo sull’organizzazione aziendale. Tra gli esempi più ricorrenti rientrano:
- l’adattamento della postazione di lavoro;
- la redistribuzione dei compiti;
- l’introduzione di pause o variazioni nei turni.
Si tratta di misure proporzionate e sostenibili, che il datore di lavoro è tenuto almeno a valutare e documentare.
La pronuncia richiama i principi delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 7755/1998), secondo cui, in presenza di sopravvenuta inidoneità, il datore deve valutare la ricollocazione del dipendente in mansioni compatibili, incluse mansioni inferiori qualora il lavoratore le accetti.
Ne deriva che, per legittimare il licenziamento per inidoneità, l’azienda deve dimostrare:
- l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni disponibili, comprese quelle inferiori;
- l’impossibilità di adottare accomodamenti ragionevoli idonei a consentire la permanenza in servizio;
- oppure l’irragionevolezza o sproporzione degli accomodamenti, valutata in relazione a costi, dimensioni e risorse dell’impresa.
Questi obblighi discendono dai principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), dal dovere di solidarietà (art. 2 Cost.) e dalla normativa antidiscriminatoria nazionale e europea.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Benevento, il giudice ha evidenziato che la lavoratrice – dichiarata idonea con prescrizioni e, in seguito, con ulteriori limitazioni – avrebbe potuto continuare a svolgere le proprie mansioni tramite semplici accorgimenti organizzativi. L’azienda non ha provato né l’impossibilità di ricollocarla né l’adozione di accomodamenti ragionevoli, determinando così l’illegittimità del licenziamento.
La decisione conferma che, nei casi di sopravvenuta inidoneità, l’onere probatorio del datore di lavoro è particolarmente rigoroso: non è sufficiente dichiarare l’assenza di mansioni compatibili, ma occorre dimostrare in modo puntuale di aver valutato – e, se possibile, adottato – tutte le misure ragionevoli e proporzionate utili a mantenere il rapporto.
Si tratta di un chiarimento rilevante per le imprese, che rafforza la necessità di una gestione attenta e documentata delle situazioni di inidoneità. La giurisprudenza richiede un approccio attivo: analisi delle mansioni disponibili, valutazione degli accomodamenti organizzativi, documentazione delle scelte. Un percorso coerente con i principi di correttezza, buona fede e tutela antidiscriminatoria, utile anche a ridurre il rischio di contenzioso e ad assicurare una gestione del personale conforme all’ordinamento.