Dimissioni per fatti concludenti: cosa prevede la legge e quali orientamenti stanno emergendo

La pronuncia del Tribunale di Milano e il quadro ancora aperto

 
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L’istituto delle dimissioni per fatti concludenti, introdotto dall’art. 19 della Legge n. 203/2024 (Collegato al Lavoro), rappresenta una novità rilevante per imprese e consulenti del lavoro. La disposizione nasce per contrastare le assenze ingiustificate prolungate, che in passato potevano sfociare in licenziamenti con diritto alla NASpI anche senza una reale volontà di cessazione da parte del lavoratore.

Il meccanismo previsto dalla norma è chiaro: quando l’assenza ingiustificata supera il termine stabilito dal CCNL applicato o, in mancanza, i 15 giorni, il datore di lavoro deve comunicarlo all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente. In questa situazione, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore, salvo che quest’ultimo dimostri l’esistenza di cause di forza maggiore o la responsabilità del datore di lavoro.

Negli ultimi mesi, tuttavia, le prime pronunce giurisprudenziali hanno aperto un dibattito sull’interpretazione della disposizione e sulla corretta individuazione del termine da applicare.

La sentenza del Tribunale di Milano

La decisione più recente è quella del Tribunale di Milano (29 ottobre 2025), che conferma la possibilità di utilizzare il termine previsto dal contratto collettivo per configurare le dimissioni per fatti concludenti, senza attendere i 15 giorni indicati dalla legge. Il giudice valorizza quindi la disciplina contrattuale, proponendo un’interpretazione non perfettamente allineata alla circolare ministeriale n. 6/2025, secondo cui il termine dei 15 giorni sarebbe inderogabile.

La precedente decisione del Tribunale di Trento

Qualche mese prima, il Tribunale di Trento aveva affrontato un caso simile, affermando due principi: la non retroattività della norma - con esclusione delle assenze anteriori al 12 gennaio 2025 - e la prevalenza del termine previsto dal CCNL applicato, con il limite legale dei 15 giorni utilizzabile solo come soluzione sussidiaria.

Il chiarimento del Ministero del Lavoro

Alla luce di queste decisioni, il Ministero è intervenuto con una FAQ ribadendo la propria posizione: il termine previsto dal CCNL può essere utilizzato solo se è pensato espressamente per le dimissioni per fatti concludenti e non può, in ogni caso, essere inferiore ai 15 giorni previsti dalla legge. Secondo il Ministero, il periodo deve essere più ampio rispetto a quello previsto per il licenziamento disciplinare, perché in quel caso esiste il contraddittorio che consente di valutare le ragioni delle parti. Nelle dimissioni di fatto, invece, manca questa garanzia: l’obiettivo è ridurre il rischio di contenzioso e rendere la volontà del lavoratore realmente inequivocabile.

Un quadro ancora incerto

Ad oggi, il tema rimane aperto: due sentenze di merito che attribuiscono rilievo al termine contrattuale e una posizione ministeriale che conferma l’inderogabilità del termine legale di 15 giorni. La giurisprudenza è ancora limitata e non sufficiente a delineare un orientamento stabile e consolidato.

In questa fase, la linea più prudente per le imprese resta quella indicata dal Ministero: applicare il termine dei 15 giorni, salvo situazioni particolarmente chiare e documentabili, e prestare massima attenzione alla comunicazione all’ITL e alla raccolta puntuale della documentazione relativa all’assenza.

Sarà essenziale monitorare con attenzione l’evoluzione della giurisprudenza e eventuali futuri interventi normativi, così da garantire alle imprese indicazioni aggiornate e coerenti con il quadro regolatorio.


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