Come vendere la sostenibilità (a chi la pretende)

La spinta ad essere sostenibili arriva dallo Stato, dai regolatori e dai consessi internazionali. Ma oggi sono i clienti a influenzare le mosse sostenibili più radicali ed efficaci. E la sfida delle imprese è intercettare queste spinte per poi vendere la sostenibilità nei fatti e nelle parole a chi giustamente la pretende.
Oggi la sostenibilità nostra e dei nostri prodotti non è più un accessorio, ma è diventata un elemento discriminante per chi ci sceglie.
Per il consumatore finale, a noi sconosciuto, che deve decidere se prendere dallo scaffale il nostro prodotto o quello altrui. Per il cliente b2b, che ha sempre comprato da noi parti meccaniche per i suoi macchinari, ed ora ha una variabile in più per valutarci. Per il fondo che non sa se investire acquisendo il 25% della nostra o dell’impresa nostra concorrente.
Essere sostenibili incide quindi sulla nostra possibilità di occupare un posto nel mercato. I nostri clienti, infatti, sono ora influenzati da nuovi fattori sostenibili d’acquisto:
- regole precise che devono rispettare in materia ambientale e sociale;
- costi che devono sostenere;
- sensibilità personali e ideali che riguardano la loro inferiore propensione all’inquinamento, allo scarto dei materiali e allo sfruttamento di risorse.
Tutti questi, ed altri nuovi fattori, entrano nel teatro dello scambio, in cui ci sono le nostre ragioni e quelle di chi compra. Bisogna quindi dare ascolto a questi per programmare, realizzare e vendere la nostra sostenibilità.
Ci sono due settori in particolare che sono bombardati dalle sollecitazioni sostenibili del cliente. Sono il tessile e la plastica. Il primo, insieme alla moda, deve intraprendere un percorso di “pulizia della filiera” faticosissimo e tutto in salita.
Moda e tessile, infatti, sono settori in cui è elevatissimo lo sfruttamento della manodopera e le condizioni di lavoro non sono ancora sostenibili, soprattutto nei paesi fuori dall’Ue, proprio nella fase che precede la realizzazione finale del prodotto.
Ma anche nella fase post-produttiva c’è scarsa sostenibilità, sia per una grande dose di prodotti che finiscono in discarica prima o subito dopo la vendita, sia per i lunghi percorsi che fanno per arrivare sullo scaffale. L’alto inquinamento delle lavorazioni e delle materie prime è ormai conclamato, ma è altrettanto conosciuta la volontà delle imprese di orientarsi verso produzioni tessili con un’impronta ecologica inferiore.
Sul secondo, quello della plastica, pesa poi una pubblicità negativa ormai consolidata da tempo, i cui fardelli sono lo scarto, l’inquinamento dei mari e il consumo di petrolio. Nell’insieme, quest’epica negativa riesce però ad incidere gradualmente sulle scelte produttive delle imprese occidentali, che cominciano ad impegnarsi per arrivare ad una sostenibilità crescente in materia di plastica; mentre ancora fatica ad influenzare quelle dei maggiori inquinatori e consumatori globali, come l’India e la Cina.
Su entrambi i fronti, quindi, le imprese hanno davanti una strada piena di scelte difficili, perché diventare sostenibili costa: significa investire in conversioni produttive, ricerca di materiali nuovi, in percorsi lunghi di cui non sempre si conosce l’esito.
Raccogliere le esigenze, i vincoli e i desideri dei clienti che vogliono a loro volta essere più sostenibili è allora il primo passo per vendere meglio la sostenibilità. Prima di esercitare la loro scelta d’acquisto, infatti, i nostri clienti ora più rispettosi per ambiente, società e governance (i principi ESG) compiono tre azioni: individuano i possibili fornitori, li mappano, e poli li selezionano.
Per vincere questa selezione, che prima non c’era, è ora decisivo giocare con tutte le carte a disposizione. E il racconto è una di queste. Così, se si decide di intraprendere un percorso di sostenibilità, è bene raccontarlo ai clienti.
Se stiamo investendo per tracciare tutta la nostra filiera, controllando le certificazioni dei fornitori, i passaggi produttivi, la nostra impronta ecologica, troviamo un modo per dirlo ai clienti.
Se abbiamo costi superiori, perché abbiamo deciso di utilizzare materie prime di maggior qualità, più durevoli e meno inquinanti, e di migliorare le condizioni di lavoro nelle nostre catene produttive o distributive, diciamolo. Se stiamo faticosamente coinvolgendo i nostri fornitori in un percorso formativo, migliorativo, selettivo per renderli a loro volta più sostenibili insieme a noi, spieghiamolo.
La nostra filiera, i nostri materiali, i nostri fornitori, possono parlare per noi. Possono comunicare la nostra volontà di diventare sostenibili, i nostri sforzi e magari anche le ragioni per cui è giusto che i nostri nuovi prezzi – un po’ più alti – debbano aiutarci a sostenere questo sforzo.
Antonio Belloni - consulente e saggista