Finanza sostenibile, l'impresa green guadagna punti anche in banca
Le piccole e medie imprese, da sempre, sono a caccia di linee di credito e, con le banche, il rapporto non è sempre sgombro da difficoltà. Anzi. C'è da dire, però, che le Pmi non esplorano sufficientemente il mondo dei “fondi sostenibili” che, a loro volta, cercano imprese responsabilmente impegnate da finanziare. Insomma, è la classica situazione della domanda e offerta che non si incontrano.
Eppure di opportunità ce ne sarebbero. Eccome. Lo sostiene Alfonso Del Giudice, professore ordinario di Finanza aziendale e Finanza sostenibile all’università Cattolica che aggiunge: «Le Pmi hanno la tendenza a comunicare agli stakeholder le proprie azioni sul fronte della sostenibilità, ma non sono altrettanto capaci di intercettare finanziamenti e fondi, perché non ne vedono i vantaggi concreti che, invece, ci sono e, quindi, non comunicano ciò che i finanziatori ricercano. Per esempio nell’intermediazione bancaria, ma anche per quanto concerne i fondi di private equity, che compiono dei veri e propri screening per cercare delle Pmi su cui vogliono investire».
D’altronde se la Finanza sostenibile, pochi anni fa valeva poche decine di miliardi di euro, ora si è assistito a una vera e propria esplosione, «arrivando a 35 trilioni di dollari gestititi. Un salto epocale. Evidentemente – spiega ancora Del Giudice – all’interno di questa mole enorme di denaro c’è chi è orientato alla sostenibilità in modo specifico e chi sfrutta quest’onda commerciale e si inserisce in questo flusso».
Il motivo? Guadagnarci. «Servono quindi dei passi in avanti verso una regolamentazione più stringente per capire veramente chi merita un’etichetta verde». In tal senso, negli ultimi anni il fenomeno di questo “verde sbiadito” si è talmente sviluppato da meritare un neologismo, ovvero Greenwashing che, generalmente, viene tradotto come ecologismo o ambientalismo di facciata: si tratta, in sintesi, della strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni Settanta.
Nel settore finanziario questo obiettivo è chiaro: fingersi green per attirare una fetta dei trilioni che ballano attorno a questo mondo. Come difendersi? «Ultimamente – commenta il docente della Cattolica – gli emittenti di prodotti green, soprattutto nel settore obbligazionario, possono sottoporsi volontariamente a degli screening da un revisore e certificatore esterno. Mentre per i fondi di investimento ci sono altri tipi di analisi. Ma per il futuro si sta andando verso una regolamentazione con degli standard ben precisi. L’Unione europea, attraverso una recente direttiva, sta seguendo questa direzione, ma servirebbe un’adesione a livello globale».