L'ultimo miglio a trazione sostenibile: come la logistica può diventare green

Il contributo del professor Gabriele Grea, Fellow di Green dell’Università Bocconi e docente alla Technische Universität di Berlino

“L’ultimo miglio” è una metafora usata per descrivere il movimento che le merci compiono dai punti di produzione e di vendita verso la loro destinazione finale che normalmente è il domicilio personale dell’acquirente. È quella che molti considerano come l’ultima tappa del viaggio che i prodotti fanno prima di arrivare nelle mani del cliente. In realtà il concetto di ultimo miglio è molto più complesso e articolato.

L’esempio appena descritto si riferisce alla catena di approvvigionamento, ma è necessario considerare anche l’ultimo miglio (o ultimo chilometro, ndr) della rete di distribuzione logistica.

«Se parliamo di ultimo miglio nella distribuzione dei prodotti finiti, ci stiamo riferendo a quello che in gergo viene chiamato il city logistic», spiega il professor Gabriele Grea, Fellow di Green (Centre for Research in Geography, Resources, Environment, Energy and Networks) dell’Università Bocconi e docente alla Technische Universität di Berlino. «Diversamente parliamo dell’ultimo chilometro tra le imprese e le reti intermodali – prosegue il professore – ovvero di una problematica che riguarda principalmente l’autotrasporto, la sostenibilità dell’autotrasporto e dell'intermodalità nel suo complesso. Una problematica particolarmente critica a livello globale».


Solo una questione di prezzo?

Spesso sono le stesse aziende a non fare distinzione tra le due tipologie di ultimo miglio, anche se si tratta di ambiti con delle convergenze, ma che meritano approcci differenti. Le imprese, in generale, si soffermano sulla quotidianità e la «problematica relativa all’ultimo miglio, o del primo miglio, è quella di arrivare al cliente finale attraverso le grandi reti di distribuzione, come far uscire le merci dalla propria fabbrica sostanzialmente», spiega Grea.

Questo aspetto, in molti casi si riduce ad una questione di prezzo, perché se un’impresa non riesce a fare massa critica – e sono molte quelle che non hanno volumi di merci sufficienti per farlo – è costretta a rivolgersi a un operatore logistico. Quest’ultimo «è in grado di gestire tutta la catena, spesso utilizzando una sola modalità di trasporto, perché più semplice». Si tratta di una soluzione che può essere più economica in determinati contesti ma che «però non è tendenzialmente quella più sostenibile», afferma il professore, perché spesso si basa su modelli superati, come il trasporto delle merci su gomma con mezzi a combustibili fossili. Le imprese dovrebbero quindi «avere accesso alle catene multimodali in maniera più semplice e flessibile e non solo se in grado di generare volumi che facciano ‘il prezzo’».

Processo sostenibile

In questo contesto innovazione e digitalizzazione possono determinare il modo in cui le merci circoleranno se verranno create le giuste condizioni. Questo vuol dire rendere la mobilità multimodale connessa e automatizzata una realtà, ad esempio consentendo alle merci di passare senza soluzione di continuità da un modo di trasporto all’altro, fino anche all’utente finale, semplificando, ottimizzando e rendendo più sostenibile tutto il processo.

Più articolato il caso della city logistic, dove c’è la necessità di sviluppare innanzitutto infrastrutture intelligenti e flessibili vicine al cittadino e che non riguardano solo la distribuzione delle merci, ma anche lo spostamento stesso delle persone. Qui ad una necessità logistica, si aggiunge quella di mettere a disposizione della collettività una serie di servizi basati sul concetto di “zero emissioni”, un tema sempre più centrale soprattutto nelle grandi città.

«Dal punto di vista della gestione del trasporto passeggeri, della mobilità dei cittadini in ambito urbano, vi è una visione molto di dettaglio e composita – dice il professore – tanto che sono state sviluppate misure innovative che riguardano restrizioni al traffico, lo sviluppo tecnologico, l’implementazione di servizi tradizionali in condivisione con la micro-mobilità e molto altro». Invece, secondo il professore, il rapporto con le merci è meno dinamico, «mediato da un lato dalle necessità di investimento e dall’altro dalla necessità professionale e operativa dei principali operatori logistici che forniscono i servizi di ultimo miglio». Dall’altra parte il sistema delle imprese deve in qualche modo schierarsi verso la promozione di servizi a basso impatto e anche di sistemi di distribuzione in grado di mantenere alta la competitività nei centri urbani, per esempio, della distribuzione locale. Diversamente, afferma il professore della Bocconi, «si assiste a una polarizzazione molto forte della distribuzione e ad una polverizzazione delle operazioni di ultimo miglio. Una condizione che può creare congestioni, molte inefficienze e anche ridondanze di servizi che invece dovrebbero essere veloci e flessibili».

Infrastrutture di prossimità

Un approccio in questa direzione può essere quello di «sviluppare infrastrutture di prossimità, ma anche stimolare la creazione di un mercato, di una serie di opzioni a zero emissioni per la gestione dell’ultimo miglio», come l’utilizzo di mezzi elettrici leggeri. Secondo il professor Grea questo è «un aspetto fondamentale, rispetto al quale le amministrazioni locali dovrebbero avere maggiori leve decisionali”.

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