Dimissioni volontarie: nuovo orientamento, l’assenza ingiustificata può portare alla fine del rapporto di lavoro

Il Tribunale di Bergamo, con la sentenza n. 837 del 9 ottobre 2025, è intervenuto sul tema delle dimissioni per fatti concludenti, fornendo un’interpretazione significativa dell’art. 26, comma 7-bis, del D.Lgs. 151/2015.
La norma stabilisce che, “in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica” la disciplina ordinaria sulle dimissioni prevista dai commi precedenti.
Un lavoratore si era assentato ingiustificatamente dal 3 al 14 febbraio 2025, per 12 giorni di calendario. Il 14 febbraio il datore di lavoro aveva comunicato la risoluzione del rapporto ritenendo integrata la fattispecie delle dimissioni “per fatti concludenti”.
Il Tribunale ha rilevato che il CCNL applicato non disciplina un’ipotesi di dimissioni volontarie per assenza ingiustificata, ma si occupa dell’istituto del licenziamento disciplinare, con un termine finalizzato a valutare la gravità dell’inadempimento e ad attivare il procedimento ex art. 7 L. 300/1970.
Diversamente, il termine previsto dal D.Lgs. 151/2015, art. 26, co. 7-bis, ha una funzione diversa: individuare quando la mancata presentazione continuativa al lavoro possa far presumere la volontà del lavoratore di risolvere il rapporto.
Secondo il Tribunale, questa presunzione – non assistita dalle garanzie procedurali dello Statuto dei lavoratori – richiede un periodo più lungo rispetto a quello previsto per il licenziamento disciplinare. Solo così il comportamento del lavoratore può essere considerato univocamente idoneo a far emergere il suo disinteresse alla prosecuzione del rapporto.
L’interpretazione è ritenuta coerente anche con quanto indicato dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 6/2025.
Il Tribunale affronta un punto rilevante: i 15 giorni devono essere considerati lavorativi, non di calendario.
La disposizione fa riferimento all’“assenza ingiustificata protratta”, dunque alla mancata prestazione nei giorni in cui l’attività deve essere resa.
Diversamente, si rischierebbe un risultato irragionevole, in particolare nei rapporti part-time verticali, dove 15 giorni di calendario potrebbero tradursi in un numero minimo di effettive giornate lavorative, persino inferiore a quello che legittimerebbe un licenziamento disciplinare.
Alla luce di questa interpretazione, il Tribunale ha ritenuto inefficace la risoluzione comunicata dal datore di lavoro e ha accertato la persistenza del rapporto di lavoro.
La società è stata condannata al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 19 febbraio 2025 (data dell’efficace messa in mora), detratto quanto percepito dal lavoratore per altra attività svolta nelle more, con interessi legali e rivalutazione monetaria.
La sentenza si colloca nel solco della posizione ministeriale espressa nella circolare n. 6/2025, ma conferma un quadro giurisprudenziale ancora non stabile e potenzialmente esposto a contenziosi.
Pur contribuendo a delineare l’ambito applicativo dell’art. 26, co. 7-bis, D.Lgs. 151/2015, l’interpretazione fornita evidenzia la delicatezza dell’istituto e la necessità di adottare un approccio prudente.
Per i datori di lavoro rimane fondamentale:
- applicare l’istituto delle dimissioni per fatti concludenti solo in presenza di comportamenti realmente univoci;
- valutare attentamente i termini di assenza e la disciplina contrattuale applicata;
- monitorare gli sviluppi giurisprudenziali.
Privilegiare percorsi procedurali più garantiti – quando disponibili – può ridurre il rischio di contenzioso e rafforzare la tutela dell’azienda.