Il doppio volto del bilancio: strumento informativo e fiscale per le Pmi italiane

Il professor Luca Menicacci parte da un cardine del diritto tributario italiano per spiegare la stretta interconnessione tra bilancio d’esercizio e imposta sul reddito d’impresa. Si tratta del principio di derivazione, che stabilisce come base imponibile l’utile o la perdita risultante dal bilancio civilistico, opportunamente corretto da variazioni fiscali. Questo meccanismo, chiamato anche “binario unico”, genera un legame diretto e inevitabile tra contabilità e fiscalità.
«Negli ultimi anni, si è registrata una crescente convergenza tra il reddito civilistico (rappresentato nel bilancio) e il reddito fiscale, anche in virtù di esigenze di semplificazione. Il legislatore ha consolidato questa relazione con il cosiddetto principio di derivazione rafforzata: criteri contabili quali qualificazione, classificazione e imputazione temporale possono prevalere rispetto alle regole fiscali, purché siano coerenti e compatibili. L’obiettivo è far sì che il reddito fiscale rifletta il più possibile quanto emerso dal bilancio, rispondendo al principio costituzionale di capacità contributiva».
Tuttavia, avverte Menicacci, tale rafforzamento comporta anche rischi: l’Agenzia delle Entrate potrebbe esercitare un controllo più stringente sulle scelte di bilancio, in virtù degli spazi di discrezionalità offerti dai principi contabili, alimentando il contenzioso.
«È un equilibrio delicato tra fedeltà rappresentativa del bilancio e risvolti fiscali che le Pmi devono saper gestire con attenzione e consapevolezza – chiarisce il professore. Le normative fiscali si basano in misura crescente sui risultati del bilancio civilistico (come confermato anche dalle recenti riforme) accentuando ulteriormente questa interdipendenza. Tuttavia, il bilancio non è un documento neutro: è redatto secondo principi che consentono margini di discrezionalità interpretativa, nel rispetto delle norme civilistiche. Queste scelte, legittime ai fini contabili, possono avere implicazioni anche sul piano fiscale: decisioni di bilancio guidate da logiche gestionali o informative prese per rappresentare fedelmente la realtà aziendale, possono finire per influenzare (o essere influenzate da) obiettivi meramente fiscali».
Un esempio emblematico riguarda la previa imputazione a conto economico dei componenti negativi, cioè dei costi, per poter beneficiare della deducibilità fiscale. È il caso della valutazione dei crediti: le norme fiscali impongono limiti alla deducibilità delle svalutazioni dei crediti, che possono portare a sovrastimare o sottostimare i valori in bilancio in funzione dei relativi effetti fiscali. «Da un lato, il bilancio potrebbe giustificare una svalutazione superiore, ma la normativa fiscale impone un tetto annuo pari allo 0,5% del valore complessivo dei crediti. Quindi, anche in presenza di una stima contabile maggiore, il fisco non consente una deduzione ulteriore. Dall’altro lato, paradossalmente, anche in assenza di rischi su crediti, si è comunque incentivati a calcolare e imputare a conto economico almeno lo 0,5%, perché questo è il presupposto per ottenere la deduzione fiscale. Ecco, quindi, che il bilancio si adatta alla fiscalità e non viceversa, snaturando la sua funzione principale: fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’impresa. Le scelte di bilancio vengono così influenzate da esigenze fiscali, generando una sorta di circolo vizioso dove il contenuto del bilancio non è più solo frutto di valutazioni aziendali, ma anche di condizionamenti esterni legati alla normativa fiscale».
Una delle difficoltà maggiori per le Pmi italiane è conciliare i principi contabili con le normative fiscali. Tuttavia, osserva Menicacci «si sta diffondendo una maggiore consapevolezza da parte di alcune imprese che iniziano a vedere il bilancio come uno strumento di comunicazione con banche, fornitori, investitori e altri stakeholder. L’analisi del bilancio consente di esaminare indicatori chiave che determinano la solidità aziendale: dalla capacità di generare ricavi e margini operativi, alla gestione dell’indebitamento e della liquidità, fino alla valutazione dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse disponibili».
La spinta verso la rendicontazione di sostenibilità sta contribuendo a un cambiamento di prospettiva, valorizzando la funzione informativa del bilancio anche sotto il profilo non finanziario (ambiente, governance, responsabilità sociale).
«Il bilancio d’esercizio non è solo un adempimento normativo, ma un vero e proprio strumento strategico che facilita il dialogo tra l’azienda e il suo ecosistema di riferimento, contribuendo a costruire fiducia e trasparenza nelle relazioni commerciali e finanziarie – sottolinea Menicacci – Esiste un nucleo virtuoso di Pmi che lo interpreta come un veicolo per rendicontare la propria performance in modo sistematico e strutturato, facilitando valutazioni oggettive da parte dei diversi portatori di interesse. Attraverso questa lettura integrata, stakeholder interni ed esterni (dai dipendenti ai clienti, dagli investitori ai creditori) possono formulare giudizi informati sulla capacità dell’impresa di mantenere un equilibrio gestionale duraturo, onorando i propri impegni e creando valore nel tempo».
Oggi la sostenibilità ridefinisce anche la fiscalità. I nuovi standard di rendicontazione impongono alle imprese di rendere conto non solo degli aspetti economici, ma anche di come gestiscono la variabile fiscale in termini strategici, operativi e di controllo, con particolare riferimento ai relativi rischi. Il presidio della variabile fiscale diventa così parte integrante della governance aziendale: non solo per evitare sanzioni, ma per dimostrare responsabilità e affidabilità agli occhi degli stakeholder.
«L’integrazione della dimensione fiscale negli standard di sostenibilità è un aspetto innovativo che sta emergendo come elemento centrale della governance aziendale responsabile. Questo fenomeno è particolarmente rilevante per le imprese artigiane e per le Pmi che operano come subfornitrici di aziende più grandi. I committenti, tenuti a rispettare principi e standard di sostenibilità rigorosi, chiedono sempre più informazioni dettagliate sulle performance ESG dei propri partner commerciali. Le piccole imprese, indirettamente coinvolte in questa evoluzione, sono chiamate ad adeguarsi per restare competitive e mantenere rapporti di lungo periodo».
La gestione fiscale responsabile rappresenta anche un tema di responsabilità sociale, poiché esprime il contributo concreto che le imprese forniscono al territorio di riferimento: attraverso il versamento di imposte e tasse, le aziende contribuiscono al finanziamento di servizi pubblici essenziali come sanità, istruzione, sicurezza e infrastrutture, di cui esse stesse beneficiano nel loro processo produttivo. Un adeguato presidio della variabile fiscale implica, quindi, monitoraggio, mappatura dei rischi fiscali, rispetto delle normative e trasparenza verso l’esterno.
Rinunciare alla logica del risparmio fiscale di breve termine, scegliendo politiche contabili che rispecchino la realtà aziendale, è il suggerimento che il professor Menicacci rivolge alle Pmi: «Il mio consiglio – afferma – è di guardare al lungo termine: puntare sulla “trasparenza contabile” e fare scelte quanto più fedeli ai principi contabili senza forzature per ottenere vantaggi fiscali di breve periodo. La letteratura e l’evidenza empirica internazionale dimostrano che un bilancio veritiero migliora il rating creditizio e la capacità dell’impresa di attrarre investitori, riduce il costo del capitale e crea valore nel tempo perché restituisce un’immagine reale della solidità aziendale. Seguire solo la logica fiscale compromette la qualità informativa del bilancio e, di conseguenza, la sua utilità per chi deve valutare l’impresa dall’esterno».
L’obiettivo delle scelte contabili non deve essere in funzione della convenienza fiscale, ma per rafforzare la trasparenza e l’affidabilità dell’impresa.
Dal 2025 sarà pienamente operativo anche per le Pmi il Tax Control Framework (TCF): un sistema volontario di gestione e controllo dei rischi fiscali, che consente di accedere a regimi come la cooperative compliance.
«Anche le Pmi - spiega Menicacci - si trovano di fronte alla possibilità di adottare un modello strutturato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali. Si tratta di un sistema certificato da un professionista abilitato e che rappresenta, in un certo senso, un’evoluzione del regime di adempimento collaborativo già previsto per le grandi imprese con ricavi superiori a 750 milioni di euro. Questo approccio consente di passare da una logica di accertamento postumo a una di autodiagnosi fiscale preventiva, in modo proattivo. Non solo per rispondere alle aspettative di trasparenza degli stakeholder ma anche per dimostrare una responsabilità strategica nella gestione dei rischi inevitabili legati alla fiscalità, in linea con i principi di rendicontazione di sostenibilità e di buona governance». Le imprese «beneficiano di vantaggi concreti: riduzione delle sanzioni, termini di accertamento più brevi, rapida interlocuzione con l’Agenzia delle Entrate, miglioramento della posizione ESG».
«La vera sfida è culturale. Le Pmi devono uscire dalla comfort zone dell’approccio fiscale difensivo per abbracciare una gestione attiva e trasparente della variabile fiscale – insiste Menicacci – Molte imprese devono ancora completare la costruzione di sistemi di controllo interno per i rischi operativi e finanziari. Allargare questi sistemi anche ai rischi fiscali richiede un ulteriore sforzo, ma è un passaggio necessario per migliorare la cultura manageriale. Solo così il bilancio potrà tornare a svolgere la sua funzione originaria: essere uno strumento chiave per comunicare il valore dell’impresa a tutti gli stakeholder, garantendo trasparenza, affidabilità e crescita sostenibile nel lungo periodo».
- 1) Principio di derivazione e binario unico
Il bilancio civilistico è la base per calcolare il reddito fiscale, grazie al principio di derivazione che lega strettamente contabilità e imposte.
- 2) Equilibrio delicato tra contabilità e fisco
Le PMI devono bilanciare la rappresentazione veritiera con le strategie fiscali, evitando di snaturare il bilancio per fini di convenienza.
- 3) Bilancio come strumento di comunicazione
Sempre più Pmi guardano al bilancio per dialogare con stakeholder (banche, fornitori, investitori), puntando su trasparenza e affidabilità.
- 4) Governance fiscale integrata con la sostenibilità
La gestione fiscale responsabile è parte della rendicontazione di sostenibilità e rafforza reputazione e competitività.
- 5) Tax Control Framework dal 2025
Dal 2025 sarà operativo un sistema volontario di controllo dei rischi fiscali (TCF) anche per le PMI, per promuovere compliance e gestione proattiva.
Paola Mattavelli
Giornalista d'impresa, economia e società