Legittimo il licenziamento per giusta causa anche in assenza del danno patrimoniale
In tema di licenziamento per giusta causa, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1476 del 15 gennaio 2024, ha osservato che la modesta entità del fatto addebitato al lavoratore non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro. La condotta del lavoratore deve essere valutata sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti nonché all'idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e ad incidere sull'elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro.
Nel caso di specie un cuoco era stato licenziato per giusta causa per aver portato via, in una borsa di platica e senza alcuna autorizzazione, all’esterno del locale presso cui prestava la propria attività, generi alimentari di proprietà della datrice di lavoro, dei quali si era appropriato illegittimamente ed in modo reiterato da ottobre a novembre 2017, così come accertato dai carabinieri.
Nell’ambito del procedimento disciplinare il lavoratore aveva chiesto il differimento dell’audizione orale richiesta per rendere le proprie giustificazioni a causa di una patologia di ansia reattiva da stress, attestata da certificazione medica, ma respinta dalla datrice di lavoro ritenendola non idonea a giustificare un legittimo impedimento.
Il provvedimento espulsivo era stato preceduto da uno similare, poi revocato dalla stessa datrice di lavoro per vizi procedurali.
In primo e in secondo grado era stata respinta l’impugnativa di licenziamento. Secondo i giudici di merito non vi era stata alcuna lesione del diritto di difesa del lavoratore perché, pur avendo lo stesso richiesto il rinvio di essere sentito, la certificazione medica prodotta non era idonea a giustificare un legittimo impedimento a presentarsi e il rinvio aveva carattere meramente dilatorio. Il materiale istruttorio acquisito aveva confermato l'addebito mosso nei suoi confronti e l'inadempimento agli obblighi di fedeltà, lealtà e correttezza ad esso ascrivibili. Il fatto era, comunque, illecito, e la sanzione applicata era proporzionata in relazione al comportamento fraudolento posto in essere che era penalmente rilevante.
Avverso la decisione di merito il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione ha ribadito che, ai sensi dell’art. 7, comma 1, della Legge 300/1970, in caso di intimazione del licenziamento disciplinare, il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro. Tuttavia, se quest’ultimo, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore per una certa data, questi non ha diritto ad un differimento dell’incontro qualora adduca una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare. Ciò in quanto l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste in capo al datore di lavoro solo laddove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (cfr. Cass. 74/93/2011).
Applicando tale principio al caso di specie, la Corte di Cassazione ha sottolineato che la mera allegazione, da parte del lavoratore, ancorché certificata, della condizione di malattia non può essere da sola sufficiente a giustificare l’impossibilità di presenziare all’audizione richiesta. Sarebbe stato necessario che il lavoratore avesse dedotto la natura ostativa all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura) ed il differimento dell’audizione ad una nuova data avrebbe dovuto costituire una effettiva esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (cfr. Cass. n. 980/2020).
Inoltre, la Corte di Cassazione ha condiviso l’assunto dei giudici di merito che hanno ritenuto l’inadempimento commesso dal lavoratore costituente giusta causa di recesso, avendo manifestato la condotta contestata un significativo disvalore sociale ed essendosi posta in contrasto con gli standards conformi ai valori dell'ordinamento esistenti nella realtà sociale. Standards che non consentono la sottrazione di beni aziendali attraverso comportamenti reiterati e con una sistematica organizzazione per il loro trasporto, sebbene vi possa essere stata una apparente tolleranza da parte del datore di lavoro ma senza alcuna autorizzazione esplicita o implicita. Ciò che viene messo in discussione è, infatti, il dovere del lavoratore a non porre in essere comportamenti che possano incidere sulla fiducia riposta in lui.
La Corte di Cassazione ha poi concluso stabilendo che, in tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi appunto valutare la condotta del lavoratore sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti nonché all'idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e ad incidere sull'elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso e la condanna del lavoratore alle spese del giudizio.