Licenziamento: per l'impugnativa è valida anche la PEC con il file di word
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18529 datata 8 luglio 2024, ha affermato che il licenziamento può essere impugnato anche se l’atto spedito a mezzo PEC non è in formato pdf ma in formato word.
Nel caso in esame la Corte d’appello aveva respinto il ricorso presentato da un lavoratore avverso la sentenza di primo grado di rigetto della sua domanda di impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli.
Nello specifico, la Corte distrettuale aveva disconosciuto la validità dell’atto di impugnazione costituito da un file di Word inviato dal difensore del lavoratore tramite PEC.
Il lavoratore decideva così di ricorrere in Cassazione, eccependo che l’impugnazione stragiudiziale poteva essere effettuata con qualsivoglia atto scritto idoneo a rendere nota la volontà dell’interessato, senza la necessità di particolari forme.
La Corte di Cassazione afferma che l’art. 6 della Legge n. 604/1966 ammette l’impugnazione del licenziamento “con qualsiasi atto scritto anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore”. Ciò che “riveste importanza è che l’atto esprima la volontà inequivoca di impugnare il licenziamento” (cfr. Cass. 10883/2021).
La ratio della forma scritta, sottolinea la Corte di Cassazione, è quella di far conoscere con la dovuta certezza la volontà del mittente al destinatario.
A suo parere, il licenziamento può essere impugnato tramite PEC anche se l’atto spedito non è in formato pdf ma in formato word. Ciò in quanto non si tratta di una copia informatica di un documento analogico nel senso prescritto dall’art. 22 del D.Lgs. 82/2005.
Secondo la Corte di Cassazione ciò che assume valenza è che l’impugnativa sia stata spedita dal legale del lavoratore e formulata nei seguenti termini: “la presente per conto del Sig. (…). Distinti saluti Avv. (…)”. Pertanto, l’atto di impugnazione del licenziamento allegato alla medesima PEC non poteva che essere riferito allo stesso legale che aveva sottoscritto la PEC con cui il file allegato formava un tutt’uno inscindibile.
Oltretutto, rimarca la Corte di Cassazione, non è stato mai contestato che l’avvocato fosse munito dei relativi poteri o procura e mai era stata contestata l’autenticità o veridicità della scrittura dal punto di vista del suo contenuto, ossia che si trattasse proprio dell’atto spedito dall’avvocato con quel contenuto idoneo ad impugnare il licenziamento.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore e rinviato la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione.