Se l'infortunio è causato da terzi non c'è protezione INAIL

A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27279/2023

 
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La protezione dell’INAIL non consegue alla mera circostanza che l'infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale la sussistenza del nesso tra lavoro e rischio. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27279/2023.

Nel caso in esame, un dante causa alle dipendenze di una impresa edile, una mattina, dopo aver indossato, in magazzino, gli indumenti da lavoro e prelevato gli attrezzi, con l’autocarro aziendale, condotto da un collega, si era diretto verso il luogo di esecuzione della prestazione. Durante il tragitto, i due lavoratori, sprovvisti di acqua, si erano fermati vicino ad una fontanella. Il guidatore dell’autocarro era sceso dal mezzo e, percorso il breve tratto di strada prospiciente la parte anteriore del medesimo, si era accorso che il manovale, con la testa appoggiata sul bordo della fontanella era incosciente e di lì a breve ne era seguito il decesso.

La Corte d’appello territorialmente competente, confermando la decisione di primo grado, aveva escluso che vi fossero gli estremi di un infortunio in itinere, poiché l’evento si era verificato mentre i due lavoratori dovevano già considerarsi al lavoro. Non ricorrevano, a suo parere, neanche i presupposti dell’infortunio sul lavoro poiché non erano chiare le concrete modalità delle lesioni e “ad ogni modo” la pausa aveva “fatto venir meno l’occasione del lavoro e il nesso causale”. Si legge nella motivazione che “l'infortunio non è consistito né in precipitazione da altezza, né in caduta accidentale da stazione eretta in conservazione di coscienza, (per)chè secondo l'esperto medico legale nominato dall'ufficio requirente, si è trattato di un colpo in testa inferto con un corpo contundente a superficie solida, ampia, priva di sporgenze”.

Gli eredi del manovale ricorrevano in Cassazione avverso la pronuncia di merito, sostenendo che l’evento doveva considerarsi “infortunio in itinere” e che, al di là di qualsivoglia qualificazione, lo stesso andava indennizzato ai sensi del DPR 1124/1965 (il “DPR”).

La Corte di Cassazione, investita della causa, ha, innanzitutto, osservato che:

  • ai sensi dell’art. 2 del DPR l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in “occasione di lavoro”;
  • secondo la giurisprudenza di legittimità la condizione “occasione di lavoro” si realizza ogniqualvolta lo svolgimento di un’attività lavorativa, pur non essendo la causa, costituisce l'occasione dell'infortunio, ovvero quando determina l'esposizione del soggetto protetto al rischio di esso, dando luogo ad un nesso eziologico, seppur mediato e indiretto;
  • il comma aggiunto dal D.Lgs. n. 38/2000, all’art. 2 del DPR, alle condizioni specificamente previste, assimila, alla esecuzione della prestazione, gli spostamenti necessari per recarsi sul luogo di lavoro (cd. infortunio in itinere), non incidendo, però, sul requisito dell'occasione di lavoro, da riferire, in tal caso, al nesso con la necessità degli spostamenti e dei percorsi.

Ne consegue, ad avviso della Corte di Cassazione, che ai fini della tutela in oggetto, non è sufficiente che sussista la causa violenta e che tale causa abbia coinvolto l'assicurato nel luogo ove egli svolge le sue mansioni - comprensivo del percorso da e per il lavoro - ma è necessario che tale causa sia connessa all’attività lavorativa, ossia inerisca ad essa o sia, almeno, occasionata dal suo esercizio.

Tale principio, sempre a parere della Corte di Cassazione, vale ad escludere l’occasione di lavoro per i fatti delittuosi commessi da terzi, in alcun modo connessi con il lavoro. In tal caso, infatti, la “mera presenza” dell'infortunato sul posto di lavoro e la coincidenza temporale dell'infortunio con la prestazione lavorativa possono costituire soltanto un “indizio” della sussistenza del rapporto “occasionale” e non la prova di esso, posto che non può escludersi che l'evento dannoso sarebbe stato comunque consumato dall'aggressore, ricercando l’occasione propizia anche in tempo e luogo diversi da quelli della prestazione di lavoro (cfr. Cass., Sez. Un., n. 17685/2015, e Cass. n. 13599/2009).

In sostanza “la protezione assicurativa e solidaristica incontra il limite del “pericolo individuale”, nel senso (…) che si arresta in presenza di una situazione di rischio personale alla quale solo la vittima è esposta, ovunque si rechi o si trovi, perché ingenerata da motivi individuali ed extralavorativi. La tutela, in definitiva, non consegue alla mera circostanza che l'infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale “la sussistenza del (...) nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell'evento quanto l'esposizione a rischio dell'assicurato” (cfr. Cass. n. 32473/2021).

La Corte di Cassazione ha così concluso per il rigetto del ricorso, condannando i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità.

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