Sostenibilità e digitalizzazione: ancora pochi gli investimenti nelle PMI
Le PMI italiane sono ancora poco sostenibili e poco digitalizzate: è quanto emerge da una recente ricerca del Politecnico di Milano. Solo il 29% delle Pmi, infatti, ha definito un approccio strutturato nei confronti della sostenibilità e ha deciso di investire nel digitale. Su questi due fronti, il 23% non è ancora riuscito a mettere a fuoco obiettivi e strumenti.
Secondo la ricerca, le ragioni di questo rallentamento strategico stanno in due limiti tipici delle piccole imprese: da un lato le ridotte dimensioni e dall’altro una debolezza creditizia che non permette loro di sostenere ampi piani di investimento. La scommessa del prossimo futuro si vince nei settori del digitale, della ricerca e sviluppo, dell’attrazione dei talenti, dell’accesso al credito e della logistica. Ma si vince, prima di tutto, partendo dalla consapevolezza che sono gli stessi fornitori a chiedere alle PMI quelle certificazioni di sostenibilità che possono essere ottenute solo attraverso una riorganizzazione digitalizzata dei processi produttivi.
In un contesto economico in cui si parla sempre più spesso di pianificazione e cambiamento del modello di business, le microimprese (con meno di 10 addetti) rappresentano il 95% del tessuto imprenditoriale italiano, mentre le Pmi (tra i 10 e i 249 addetti) pesano per il 4,9% sul totale. Entrambe le realtà giocano un ruolo sostanziale in un mercato del lavoro ancora fluttuante: le microimprese rappresentano il 45% degli occupati (contro il 30% in Francia e il 19% della Germania), mentre alle Pmi fa capo il 21% del totale degli occupati. Nelle grandi aziende, la forza lavoro impiegata è solo il 21%.
Secondo un’indagine di Unioncamere e del Centro Studi Tagliacarne, investire in sostenibilità e digitalizzazione fa bene perché può aumentare la produttività fino al 14%. Entrando nel dettaglio, i soli investimenti nelle tecnologie digitali la fa crescere fino al 12%, mentre la produttività cresce fino all’8% quando si scommette esclusivamente in sostenibilità ambientale. Nonostante i buoni propositi - entro il 2024, 1 impresa su 3 prevede investimenti nel digitale e nel sostenibile - le piccole e medie imprese fanno fatica a stare al passo. Secondo un rapporto della Commissione europea, solo il 10% delle Pmi utilizza big data analytics, il 5% utilizza robotica e il 3% blockchain. A frenare questa rincorsa non concorrono solo le piccole dimensioni e la scarsa capitalizzazione, ma anche l’incertezza nell’evoluzione tecnologica, la mancanza di competenze e di infrastrutture, le questioni di sicurezza informatica e la resistenza al cambiamento.
La cybersecurity è una fra le preoccupazioni maggiori delle Pmi: investire nel digitale significa anche garantire la sicurezza nell’uso dei dati e delle tecnologie digitali. L’attività di cybercrime, infatti, genera un costo annuale globale pari a circa 6 trilioni di dollari (circa l’1% del Pil mondiale) ed è destinata ad aumentare fino a 10,5 trilioni di dollari entro il 2025. Nella sola Italia, gli attacchi informatici sono cresciuti a un tasso annuo del 14,4% negli ultimi 10 anni, superando quota 2mila attacchi. Il danno economico causato alle imprese italiane è stato, nel 2021, di 4,1 miliardi di euro.