Dati e PMI: come trasformare la raccolta in valore strategico

Le tecnologie digitali avanzano a ritmo serrato e la sostenibilità è diventata un requisito per accedere al credito e agli strumenti di finanza agevolata. Per le piccole e medie imprese italiane diventa fondamentale ripensare il proprio modo di fare impresa. Il punto di partenza? I dati. Ma la raccolta da sola non basta. Bisogna saperli leggere, interpretare e usare per guidare decisioni. Ne parlano Paolo Giudici, professore ordinario di Statistica all’Università di Pavia, e Adelaide Bernardelli, dottoranda in Sustainable Development and Climate change nello stesso ateneo.
«I passaggi fondamentali per adottare un approccio data-driven sono due: la cultura del dato e la motivazione», afferma Giudici. Secondo il professore, infatti, molte PMI raccolgono dati, ma non hanno gli strumenti o la mentalità per trasformarli in informazioni utili.
«Non si tratta di avere grandi quantità di dati, ma di sapere cosa farne. Serve consapevolezza, da parte del manager o dell’imprenditore, di ciò che può ottenere con i propri dati, ma anche con quelli esterni, disponibili sulla rete o tramite strumenti di AI» aggiunge.
E qui entra in gioco la motivazione. «Finché le cose vanno bene – osserva Giudici – l’imprenditore tende a ripetere modelli consolidati, spesso ereditati da generazioni precedenti. Ma oggi siamo dentro un cambiamento strutturale profondo, trainato dalla tecnologia, dalla sostenibilità e da fattori geopolitici. In queste condizioni, non cambiare può essere un rischio concreto per la sopravvivenza stessa del business».
Adelaide Bernardelli, impegnata nella ricerca sui temi ESG, sottolinea l’urgenza per le Pmi di affrontare la questione della sostenibilità con maggiore attenzione. «Tutte le imprese si stanno muovendo in questa direzione, e anche i dati mostrano che le sfide ambientali e sociali stanno diventando centrali per la competitività», spiega.
Ma non si tratta solo di un impegno etico: l’adozione di pratiche sostenibili ha impatti diretti anche sul piano finanziario. «Le banche – prosegue Bernardelli – utilizzano sempre più spesso indicatori ESG per valutare l’affidabilità di un’impresa. Un buon punteggio di sostenibilità può migliorare l’accesso al credito, offrire condizioni migliori o facilitare la partecipazione a bandi pubblici».
Giudici conferma il valore strategico di questa integrazione: «La sostenibilità oggi riguarda non solo l’ambiente, ma anche gli aspetti sociali e di governance. Avere dati affidabili su questi ambiti permette alle imprese di rispondere meglio alle richieste del mercato e degli stakeholder».
Uno dei nodi più critici per le imprese è capire quali dati raccogliere. Con una mole sempre crescente di informazioni disponibili, il rischio è di perdersi.
«Il punto di partenza sono sempre gli obiettivi aziendali – chiarisce Giudici –. Dove vogliamo andare? Quali mercati vogliamo esplorare? Che tipo di innovazione vogliamo realizzare? Che modello di business vogliamo adottare?».
Una volta chiariti questi aspetti, le tecnologie oggi disponibili, in particolare gli agenti digitali intelligenti, permettono di automatizzare la raccolta e l’analisi dei dati, restituendo risultati leggibili anche a chi non ha competenze tecniche.
«I cosiddetti agentic systems – aggiunge – sono strumenti in grado di agire autonomamente per raccogliere, interpretare e sintetizzare dati in linguaggio naturale. Ma servono obiettivi chiari, altrimenti anche la migliore tecnologia è inutile».
Rispetto al passato, le barriere all’ingresso per l’adozione di strumenti avanzati si sono drasticamente ridotte. «Negli anni Duemila, servivano grossi investimenti in software e competenze. Oggi, grazie all’AI, tutto è più accessibile ed economico», ricorda Giudici.
La vera sfida, ora, è di tipo culturale. «È fondamentale che l’imprenditore prenda coscienza del valore della tecnologia e sia disposto a cambiare approccio. In questo, spesso il cambio generazionale gioca un ruolo positivo: i giovani sono più pronti e curiosi nell’adottare nuovi strumenti».
Bernardelli osserva che anche tra gli artigiani si notano segnali positivi: «C'è sempre più interesse per soluzioni che permettano di orientarsi meglio nelle decisioni, anche in chiave sostenibile».
Le tecnologie digitali non vanno pensate come compartimenti stagni. «Big data, machine learning e intelligenza artificiale sono strettamente connessi», spiega Giudici.
- I big data comprendono sia i dati interni all’impresa sia quelli esterni (mercati, concorrenza, rischi);
- Il machine learning permette di analizzare questi dati attraverso software statistici, rendendo automatica l’elaborazione;
- L’intelligenza artificiale integra tutto questo, consentendo alle imprese di trasformare dati grezzi in azioni strategiche concrete.
«La parte informatica è ormai secondaria – sottolinea – . Ciò che conta è sapere dove si vuole andare e come tradurre questi obiettivi in linguaggio macchina, in modo che i sistemi possano apprendere e proporre soluzioni».
Bernardelli insiste sulla necessità di unire lo sguardo interno ed esterno. «Oggi servono dati non solo sulle performance aziendali, ma anche sull’ambiente in cui l’impresa opera: sociale, territoriale, ambientale. Solo così è possibile prendere decisioni che siano realmente sostenibili e in linea con la direzione in cui il mondo si sta muovendo».
5 consigli per le Pmi che vogliono diventare data-driven
- Non raccogliere dati a caso: partire sempre da obiettivi aziendali chiari, come mercati da esplorare, modelli di business o innovazioni da sviluppare.
- Costruire una cultura del dato: comprendere che i dati sono uno strumento strategico e non solo tecnico.
- Sfruttare le tecnologie disponibili: oggi l’intelligenza artificiale è accessibile anche a realtà di piccole dimensioni.
- Integrare fonti diverse: combinare dati interni (produzione, clienti) con dati esterni (mercato, concorrenza, rischi informatici).
- Favorire il cambio generazionale: i giovani sono spesso più preparati e motivati ad adottare strumenti digitali e modelli data-driven.