PMI tra flessibilità, competenze e futuro: uno sguardo sulle scelte che contano

In un contesto in cui le piccole e medie imprese devono confrontarsi con cambiamenti rapidi, innovazione tecnologica e nuove forme di competitività, diventa essenziale comprendere quali fattori alimentano davvero la resilienza aziendale. Su questo tema abbiamo raccolto il contributo della professoressa Stefania Depperu, docente di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Cattolica del Sacro Cuore, tra le studiose che più approfondiscono comportamento competitivo, relazioni interaziendali e dinamiche delle PMI.
Nel suo contributo, la professoressa Depperu analizza i principali vantaggi e limiti strutturali delle piccole e medie aziende, soffermandosi su elementi chiave come flessibilità, cultura imprenditoriale, competenze, giovani, innovazione e capacità di adattamento nei momenti di discontinuità. Il suo sguardo offre una riflessione ampia e critica su ciò che rende oggi le PMI solide e capaci di affrontare il futuro.
Le piccole e medie dimensioni aziendali sono tradizionalmente associate ad alcuni vantaggi e svantaggi. Tra i vantaggi - spiega la docente - c’è quello della flessibilità, che consente alle Pmi di essere più reattive rispetto a necessità di adattamento legate a cambiamenti che avvengono nell’ambiente e in particolare nel proprio sistema competitivo.
Nei periodi di crisi questa flessibilità può manifestarsi come capacità di modificare caratteristiche e quantità di prodotto realizzate e immesse sul mercato, anche grazie al fatto che spesso le Pmi operano in settori nei quali non sono richiesti importanti investimenti in tecnologie rigide. Questo dà modo di adattarsi più rapidamente, rispetto a concorrenti più grandi, a quanto richiesto dai clienti e limitare il rischio di accumulo di scorte che potrebbero poi risultare difficili da smaltire.
A questo si accompagna anche una flessibilità organizzativa che dà una marcia in più rispetto ad aziende di maggiori dimensioni.
"Se poi consideriamo l’assetto istituzionale delle Pmi italiane, ancora in elevata percentuale imprese familiari, un altro fattore di flessibilità può essere ricondotto alla resilienza che le famiglie proprietarie tipicamente hanno, da contrapporre all’orientamento al breve termine che caratterizza aziende con diverso assetto, e soprattutto le aziende quotate. Queste, dovendo confrontarsi quotidianamente con il mercato, difficilmente accettano di sopportare perdite e sostenere costi in vista di risultati di medio-lungo termine".
Infine, quando le imprese minori hanno relazioni di lungo termine con altre aziende delle quali sono fornitrici o con le quali hanno avviato progetti congiunti, questi legami possono fungere da ancora di salvataggio in periodi di crisi economica.
I vantaggi e gli svantaggi competitivi dipendono dalle risorse, alle quali riconduciamo anche le competenze e le capacità, e dalle scelte di posizionamento nel proprio ambiente competitivo. Prosegue la professoressa Depperu: “A questo proposito è opportuno fare una distinzione tra le aziende che basano la loro competitività soprattutto sul fatto che riescono a produrre a costi inferiori e quelle che invece hanno un vantaggio di differenziazione rispetto ai loro concorrenti. Per quanto riguarda le prime, le minori dimensioni possono consentire di comprimere alcuni costi, ma certo non danno modo di sfruttare vantaggi tipici di chi ha dimensioni grandi, come le economie di scala".
"In alcuni casi, quindi, il vantaggio di costo delle Pmi discende dal fatto che hanno minori vincoli e sfruttano alcuni benefici legati alla loro specifica localizzazione (ad esempio, in prossimità di risorse importanti per il loro business), ma si tratta in diversi casi di vantaggi fragili, difficilmente difendibili. Particolarmente problematica può essere la situazione delle aziende piccole che sono subfornitrici di aziende di dimensioni più grandi e che, nei momenti di sofferenza di queste ultime, vengono a loro coinvolte in situazioni di crisi”.
Diverso è il caso delle Pmi che hanno un vantaggio di differenziazione che può essere ricondotto a specifiche competenze o ad abilità particolari che discendono dalla loro storia e che sono state tramandate nel tempo. Queste aziende spesso si posizionano in nicchie nelle quali sono “protette” e nelle quali, grazie alla loro unicità, riescono a resistere anche in periodi difficili.
Ovviamente non è possibile trovare “ricette” che vadano bene per tutti, ma la storia (anche recente) ci insegna che i periodi di crisi possono essere uno spunto per ripensare la propria strategia.
“Le Pmi, proprio a causa delle loro minori dimensioni, ancora meno delle altre, in periodi positivi, riescono a dedicare tempo ed energie alle riflessioni sul proprio futuro – aggiunge la docente. Dal confronto con più imprenditori ho avuto modo di constatare che la crisi è stata per loro un’occasione - forzata, ma pur sempre un’occasione - per riflettere, pensare al futuro aziendale, rivedere qualcosa nelle loro strategie. Credo quindi che questa capacità vada considerata e nutrita con attenzione perché i tempi sono difficili e le discontinuità non posso essere affrontate ingenuamente con una generica capacità di adattarsi. La flessibilità e la capacità di adattarsi funzionano se sono frutto di un progetto e sono alimentate con diverse modalità che vanno dalla introduzione di strutture organizzative piatte all’investimento nella formazione. Al di sopra di tutto questo, però, è necessario che ci sia una cultura imprenditoriale orientata all’apprendimento”.
Tra i fattori da considerare ci sono l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, che sono ormai una necessità, per le imprese di diversa dimensione e indipendentemente dai settori in cui operano. Le innovazioni tecnologiche possono potenziare il vantaggio competitivo (quando non sono addirittura al cuore dello stesso) e quindi sono necessarie per adattarsi a nuove situazioni, siano queste di sviluppo o di crisi.
“Per questo è fondamentale che le Pmi siano pronte ad investire risorse finanziarie e a formare le persone che collaborano al loro interno perché quello che può fare la differenza sono le competenze, anche in questo campo”.
L’area di maggior interesse e incertezza è oggi rappresentata dall’IA.
Queste le considerazioni in merito della professoressa Depperu. “Penso che anche le Pmi siano già orientate a considerare investimenti in queste tecnologie, ma devono fare i conti con risorse limitate. Se da un lato questo può rappresentare un vincolo, dall’altro si potrebbe pensare che proprio chi non può contare su molte risorse personali possa trarre beneficio da applicazioni di intelligenza artificiale".
"Muovendo ad altri fattori da considerare, può essere utile considerare che, rispetto alle aziende di altri Paesi, le nostre in molti casi si caratterizzano ancora per due fattori che considero preoccupanti rispetto alla loro competitività: poca fiducia nei giovani, ai quali non vengono affidate molte responsabilità, e limitato valore attribuito alla formazione. Credo che ancora non si comprenda bene che assumere un laureato magistrale vuol dire portare in azienda la capacità di capire situazioni complesse, di dare slancio all’innovazione, di contaminare la cultura aziendale con quello che si studia in Università. Sotto questo profilo, i nostri vicini di casa francesi, tedeschi, ma anche sloveni sono molto più avanti e questo dà loro motivazione".
"La nostra non solo è una società vecchia, ma anche una società che non ha come principale obiettivo quello di rinnovarsi, bensì quello di preservarsi. Spero che cresca la consapevolezza degli imprenditori in questo senso perché mi pare l’unico modo per difendere la nostra imprenditorialità, consapevoli che in caso contrario le nostre aziende non potranno che essere acquisite da concorrenti che provengono da società più giovani e che a questi si affidano maggiormente”.
Infine, qualche consiglio pratico. Secondo la professoressa Depperu, possono esserci alcune strategie da seguire:
- investire in azienda senza drenare risorse per scopi diversi dalla crescita e dal bene aziendale;
- credere nei giovani e remunerarli adeguatamente;
- guardarsi intorno per imparare anche da quello che avviene in settori diversi dal proprio;
- imparare a non essere individualisti, ma a collaborare;
- considerare le proprie aziende (come sé stessi) un pezzo di Europa e non solo parte del proprio Paese.
"Anche chi ha dimensioni piccole deve confrontarsi e pensarsi come attore del mercato europeo, il nostro mercato naturale e, nelle condizioni attuali, trampolino di lancio per andare molto più lontano - concluede la docente. Le vicende attuali stanno mostrandoci come inserirsi saldamente nella casa europea sia diventata una necessità e non un’opzione".
Tomaso Garella
Caporedattore NewsPrima.it presso Netweek