Governance, la sfida è puntare sulla trasparenza

Il contributo di Alfonso Del Giudice, professore di Finanza Aziendale presso l’Università Cattolica

 
governance

Quando si parla di criteri ESG le imprese si concentrano spesso sugli aspetti ambientali e su quelli sociali, non valorizzando adeguatamente l’ambito della governance, che invece riveste un ruolo tutt’altro che marginale nei rating. Se, da un lato, è infatti fondamentale fissare obiettivi green adeguati e dedicare attenzione alla sfera sociale, dall’altro è altrettanto importante puntare su una governance efficace e trasparente, in quanto questo settore rappresenta lo strumento imprescindibile per raggiungere questi importanti obiettivi.

Ma in concreto quanto pesa la governance nei rating ESG? E come le imprese devono muoversi per cercare di declinare al meglio questi temi sempre più cruciali in un contesto economico che ha fatto della sostenibilità un presupposto ineludibile? Ne abbiamo parlato con Alfonso Del Giudice, professore ordinario di Finanza Aziendale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del master in Corporale Governance dell’Ateneo.

Qual è l'importanza di un approccio mirato alla governance nell'ambito di un percorso che declina al meglio l’adesione ai tre criteri ESG? Quali vantaggi hanno le imprese che affrontano in maniera più efficace la questione? 

Innanzitutto, va detto che, all’interno del rating ESG, la governance ha un peso che varia in base al settore industriale di riferimento, ma in generale possiamo dire che il suo peso incide per un valore compreso tra il 25% e il 33% della valutazione complessiva. È quindi importante che le imprese non trascurino questo ambito.

Un secondo aspetto particolarmente importante da tener presente è il fatto che la governance per le piccole e medie imprese deve rispettare criteri diversi da quelli richiesti alla grande corporation. Spesso, infatti, le Pmi sono a carattere familiare, per questo è necessario dimostrare non tanto l’efficienza della gestione o la separazione di interessi tra azionisti e gestori dell'impresa, ma piuttosto la trasparenza dei processi seguiti nel prendere le decisioni. Questo perché, in genere, nelle piccole e medie imprese il fondatore è anche il principale azionista, nonché colui che gestisce l’impresa.

In quest’ottica è quindi importante indicare, ad esempio, il numero di volte che il consiglio d'amministrazione si riunisce e la sua composizione, precisando se sono presenti anche amministratori indipendenti. Ciò è particolarmente importante in una Pmi non quotata.

Altro elemento rilevante è poi la presenza di una componente di specifici amministratori che hanno competenze nel campo in cui opera l’impresa. Ad esempio, se un'azienda lavora nel settore chimico si potrà valutare la presenza o meno nel board di un esperto del settore. Ciò sicuramente è valutato positivamente nel rating ESG.

L’altro tema su cui le piccole e medie imprese devono stare attenti è la conformità della struttura aziendale ad alcuni parametri di composizione manageriale. In concreto si va ad esempio a prendere in considerazione il numero di dirigenti donne o, in generale, il numero di dipendenti donne, ma anche la parità di trattamento economico. Naturalmente bisogna fare le opportune distinzioni: un’azienda metallurgica evidentemente non può avere una componente prevalentemente femminile.

Sono questi quindi gli ambiti a cui le Pmi devono fare più attenzione, non tanto la separazione di proprietà e controllo. Questo perché, come dicevo prima, è evidente che si tratta di imprese familiari e che questo tipo di distinzione non è ipotizzabile.

Cosa rischiano le imprese che non declinano al meglio questo ambito?

Ci sono due rischi principali: uno è di natura finanziaria e uno è di natura economica. Dal punto di vista finanziario le imprese devono essere consapevoli che ormai la maggior parte delle banche e degli investitori valuta i criteri ESG. Trascurare questi parametri significa quindi perdere una fetta importante di potenziali finanziatori. Se un’azienda poi è quotata in un piccolo segmento come quello dello Euronext Growth può perdere anche liquidità del titolo, perché gli investitori non comprano più.

Lato commerciale, invece, bisogna tenere presente che oggi le grandi multinazionali sono tenute a rendicontare anche la catena di fornitura. Per questo rispettare i criteri ESG può fare la differenza anche per una Pmi. In sostanza, se una piccola impresa non è quotata non è tenuta a obblighi di rendicontazione, ma può avere comunque dei danni se decide di trascurare i criteri ESG. Può capitare infatti che la società a cui fornisce dei servizi decida di sostituirla con un'altra che invece si avvale di rating di ESG.

In generale si tratta di due rischi materiali, che però possono impattare sul conto economico e sulla struttura finanziaria dell’azienda.

Come concretamente devono muoversi le Pmi per declinare al meglio il tema della governance? 

La prima cosa da fare è cercare di identificare una modalità codificata attraverso il quale la governance viene esplicata, rendendo trasparente il processo. Ciò vuol dire concretamente indicare il numero di volte in cui il cda si riunisce, la modalità con cui è composto, le competenze di ogni singolo membro, la remunerazione.

Per le piccole società che non hanno obbligo di rendicontazione semplificata basta essere trasparenti su questi pochi aspetti, predisponendo un’apposita sezione del sito web in cui queste informazioni sono contenute in modo chiaro e completo. In questo modo si evita il rischio di essere valutati zero sul parametro Governance dei tre criteri ESG. Questo è importante, perché, come ho già detto, è un ambito che pesa tra il 25 e il 33% della valutazione totale a seconda dei diversi settori. 

Monica Giambersio (Fonte: www.impreseterritorio.org)


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