Rifiuti, la situazione in Italia: dati, costi e difficoltà

Gli italiani sono tra i più virtuosi in Europa, eppure i costi aumentano. Quali le soluzioni?

smaltimento rifiuti

L’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI) dell’Università Cattolica di Milano ha cercato di fare ordine sulla travagliata questione dei rifiuti italiani: ne ha parlato in due recenti contributi "Il trattamento dei Rifiuti Urbani in Italia ed Europa" e "Quanto si differenzia in Italia?" rispettivamente di lugli e marzo scorso. Ecco le principali evidenze emerse:

  • rispetto ai paesi europei, l'Italia utilizza troppo le discariche e poco il recupero energetico tramite termovalorizzatori,
  • gli impianti più avanzati che trattano rifiuti sono al Nord (generando enormi e inquinanti traffici di rifiuti all’interno del Paese),
  • le carenze infrastrutturali sono pesanti al Centro, che negli ultimi anni ha aumentato la quantità di rifiuti smaltiti in discarica.

Si fa sempre più urgente un intervento infrastrutturale deciso nel trattamento dei rifiuti, soprattutto per ridurre quanto finisce in discarica: gli obiettivi europei per il 2035 puntano a contenere entro il 10% lo smaltimento in discarica (siamo al 20,9%).

Come evidenzia il quotidiano ticinese “La Ragione” «da una decina d’anni a questa parte il costo per la raccolta dei rifiuti in Italia è cresciuto notevolmente: il costo pro capite dello smaltimento che nel 2012 si attestava intorno ai 159 euro, nel 2020 è stato di 185,6 euro». Nel Belpaese, il  concetto europeo del “paga chi inquina” non vale. Anzi, di fronte ad una minor produzione di rifiuti non corrisponde un decremento della spesa necessaria per la loro rimozione e smaltimento.

I dati: quanti rifiuti produciamo e smaltiamo?

Circa 487 Kg di spazzatura per abitante (2020) collocano l’Italia al diciassettesimo posto in Europa, al di sotto della media europea (505 Kg) e ben lontano dai numeri tedeschi (609 Kg) e francesi (538 Kg).

Per una famiglia tipo composta quindi da 3 componenti in un’abitazione di 100 metri quadrati nel 2021 la spesa è stata di 282 euro al Nord, 334 euro al Centro, 359 euro al Sud. Differenze di costi dovute all’assenza di impianti nel Centro Sud per cui è necessario trasportare i rifiuti fuori Regione. Una differenza di costi che è rimasta costante negli ultimi 8 anni con una diminuzione minima al Centro (da 336 euro a 329 euro) e al Sud (da 360 a 356 euro). Il Centro Italia è l’area in cui vengono prodotti più rifiuti, con 550 Kg l’anno; al Nord se ne producono 521 Kg e nel Mezzogiorno 451 Kg.

Le prime posizioni della classifica sono occupate dalle nazioni nordiche. Se, però, guardiamo alla produzione dei rifiuti degli ultimi dieci anni possiamo notare come il nostro Paese risulti essere quello che ha maggiormente ridotto la mole di spazzatura pro capite rispetto agli altri grandi Paesi europei: il tasso di effettivo riciclaggio dei rifiuti urbani è ben al di sopra della media europea del 47,8%. Eppure, rimozione e smaltimento costano. E tanto.

Il costo dello smaltimento: infrastrutture inadeguate

Il problema non è solo italiano: tra il 2012 e il 2017, il costo per il servizio è aumentato in media del 6,4% in tutta l’Eurozona, con rincari più significativi in Italia (+13,6%) e Francia (+10,7%). Più contenuto l’incremento in Spagna (+4,1%) e quasi immutata la spesa tedesca, che si registra un +0,1%.

Il problema però resta, e sulle soluzioni si sta riflettendo da tempo, perché se è vero che nell’ultimo anno in Italia è cresciuta la quantità di riciclo, è anche vero che le infrastrutture restano inadeguate. E la necessità di abbassare la dipendenza dalle importazioni di fonti fossili, riaccesa dal conflitto in Ucraina, ravviva anche il dibattito su quanto sarebbe vantaggioso avere a disposizione impianti di trattamento da cui ricavare energia pulita. E per essere ancora più incisivi, come scrive ancora “La Ragione”, «oltre al contributo dell’inflazione, potremmo attribuire gran parte dell’incremento della Tari alla mancata modernizzazione degli impianti di smaltimento, i quali risultano essere ancora poco presenti su suolo italiano».

Le difficoltà da superare: procedure amministrative e tempi 

Il settore dei rifiuti in Italia sta affrontando una serie di importanti riforme strutturali, ma restano ancora numerose difficoltà da superare, soprattutto in termini di abbattimento dei tempi e snellimento delle procedure autorizzative, di accettazione sociale e governance locale: tutto ciò al fine di attivare gli investimenti necessari a colmare il fabbisogno impiantistico e di superare la frammentazione gestionale.

Trattamento dei rifiuti: alcuni dati

Ecco come vengono trattati e dove finiscono i rifiuti prodotti in Italia: 

  • il 32,7% è riciclato come materiale non organico,
  • il 23,2% è trattato come frazione organica,
  • il 22,7% finisce in discarica,
  • il 20,7 per cento finisce nei termovalorizzatori,
  • lo 0,7 per cento è incenerito con basso recupero energetico.

Per quanto riguarda la termovalorizzazione, attualmente ci sono 37 termovalorizzatori in Italia. Sebbene dal 2013 ne siano stati chiusi 11 (7 solo nel Centro Italia), la quantità di rifiuti urbani da cui si recupera energia non è diminuita: le quantità trattate nei termovalorizzatori in funzione sono infatti aumentate. Del totale dei rifiuti termovalorizzati:

  • il 70,7% dei rifiuti è trattato al Nord, che ha 26 termovalorizzatori,
  • il 19% al Sud, con 6 impianti,
  • il 10,3% al Centro, che ha solo 5 impianti.

Un’analisi di Utilitalia stima che per lo scambio complessivo di rifiuti si percorrono 62 milioni km e l’emissione di 40 mila tonnellate di CO2 l’anno, con un costo di 75 milioni di euro. Il Rapporto ISPRA 2020 segnala che Campania e Lazio sono le regioni che esportano in assoluto più rifiuti organici in Italia, mandando in regioni non limitrofe (prevalentemente verso Veneto, Friuli e Lombardia) rispettivamente il 25 e il 14,5% del totale della frazione organica prodotta.

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